L'appassionato che conosca la Punta Fiames, cima emergente dal profilo della valle d'Ampezzo verso nord-est, quasi certamente conoscerà anche il "Calvario". Nota agli scalatori perché è utile soltanto a loro, è la traccia, oggi più definita ma ancora un po' arcana, che unisce le pendici cosparse di mughi del Pomagagnon, dette “Cojinàtes”, con gli attacchi degli itinerari sulla parete sud-ovest della Punta: le classiche Dimai e Jori, la Direttissima, la Centrale, la moderna Paolo Rodèla.
Per capire il perché del nome di Calvario, assegnato alla traccia in epoca e da persone ignote e trasmesso solo oralmente, si provi a percorrerlo in un giorno di sole; data l'impietosa esposizione a sud, risulterà torrido e faticoso. Si aggiunga la mancanza di acqua lungo l'accesso, che dalla zona ospedaliera di Cortina, base di partenza per molti scalatori, richiede oltre un'ora (se non si sbagli sentiero), e il quadro è completo.
Il Calvario, non facile - e in ogni caso, illogico - per i semplici escursionisti, poiché ad un certo momento la traccia è sbarrata da un camino di 20 m, di roccia buona ma verticale e sprotetto (3° inf.), fu scoperto dalle guide Antonio Dimai e Agostino Verzi ad inizio secolo, mentre perlustravano la parete cercando la prima via, sulla quale poi accompagnarono il 7 luglio 1901 il cliente J.L. Heath.
Desta senz'altro ammirazione l'intuito dei due ampezzani, che almeno fino alla Grande Guerra formarono una solida e celebre cordata, nell'insinuarsi fra ghiaie, mughi, rocce e terra verso la terrazza inclinata emergente sullo zoccolo, dalla quale iniziano le vie.
Il Calvario prende avvio ai piedi della Punta della Croce, un po' spostato rispetto alla verticale della Fiames; sale sinuosamente, piega verso la Fiames, valica il canale che la stacca dalla Punta della Croce e continua infine sullo zoccolo fino ad una macchia di ghiaie che spicca già da Cortina.
Punta Fiames e Calvario (foto I.D.F. novembre 2020) |
Il primo tratto del percorso, che nasce dal sentiero di Forcella Pomagagnon ai piedi del grande ghiaione e traversa dapprima quasi in piano superando vari canali detritici, che ogni anno mutano forma e aspetto, è agevolato da qualche segnavia, che rassicura chi non conosce la zona.
Il 16 dicembre 1984, una giornata tiepida e quasi estiva, salii il Calvario con Roberto, che desiderava conoscerlo. Giunti alla macchia di ghiaie, facendo merenda gli illustrai il percorso della soprastante via Dimai, che quell'anno avevo salito due volte; dopo un bagno di sole, prendemmo contenti la via di casa e per pranzo eravamo a tavola.
Ricordo come molto piacevole quella pur "illogica" divagazione; avendo l'attrezzatura, sarebbe stato bello proseguire per la Dimai, una via che - per chi crede a queste cose - oltre ad un valore alpinistico, ne ha anche uno storico e ambientale. Dopo molti anni, la ricordo bene.