28 nov 2021

Rifugio Dibona, esempio di un turismo coraggioso e responsabile

Il rifugio Angelo Dibona, a 2083 metri di quota, ha deciso di interrompere lo storico servizio motoslitte. “Con l’arrivo del Covid è avvenuta in me una maturazione che ho deciso di portare anche nell’ambiente che gestisco. Desidero offrire agli amanti della montagna un luogo in cui trovare natura, tranquillità e silenzio. La pandemia ci ha fatti riflettere. Credo che dopo un periodo così si possa solo scegliere tra due direzioni opposte in cui andare, e noi abbiamo deciso di fare un passo indietro e prendere quella che guarda alla natura, alla tranquillità e al silenzio”. Così racconta a il Dolomiti.it Nicola Recafina, gestore insieme al padre Riccardo del rifugio Dibona ai piedi della maestosa Tofana di Rozes, sulla decisione di dire basta al servizio motoslitte.
Un servizio storico per il rifugio, si potrebbe dire attivo sin dagli anni ’50, quando i nonni Mario Recafina e Antonia Dibona hanno costruito il rifugio in onore del famoso alpinista e guida alpina ampezzana, Angelo Dibona.
Verso il rifugio, sotto la Tofana di Rozes

Il rifugio stava diventando un parco divertimenti”, il Dibona dice basta al servizio motoslitte. “Vogliamo offrire un luogo in cui trovare natura e silenzio. L’uso delle motoslitte aveva avuto un boom dagli anni ’80, e abbiamo continuato a tenere attivo il servizio fino a prima del Covid. Oggi però abbiamo deciso di dire basta prendendo una decisione che crediamo riavvicinerà la nostra struttura principalmente ad escursionisti ed alpinisti”.
Senza il servizio motoslitte, infatti, il rifugio sarà raggiungibile solo a piedi, con le ciaspole o con le pelli di foca. “E’ da anni che sentivo di dover cambiare qualcosa e avevo la pulce nell’orecchio - continua - e con l’arrivo del Covid è avvenuta in me una maturazione che ho deciso di portare anche nell’ambiente che gestisco. Desidero offrire agli amanti della montagna un luogo in cui trovare natura, tranquillità e silenzio”.
Il servizio era molto utilizzato, specialmente per la cena durante i periodi festivi ed era scelto da molti turisti in quanto permetteva di raggiungere il rifugio in soli 15 minuti. Una decisione che quindi non sarà presa di buon grado proprio da tutti. “Alcuni me ne hanno già dette un bel po’”, ci racconta scherzando. “Ma ci sta”.
“Utilizzavamo tre motoslitte, però il tutto stava prendendo una piega che non mi portava nulla e il rifugio stava diventando una specie di parco divertimenti. Oltretutto la gestione dei mezzi era anche pericolosa”.
Un’importante decisione all’apparenza semplice, ma invece molto coraggiosa, che mette in luce una genuina voglia di mettere la natura e la salubrità dell’ambiente sopra qualunque altro fine. “Sono veramente carico perché dietro a questa scelta c’è un’idea abbastanza precisa. Credo che vedremo un po’ cambiare il nostro giro di turisti”.
“L’esperienza della pandemia poteva portarci a prendere due decisioni totalmente opposte. O compravamo altre dieci motoslitte, oppure facevamo un passo indietro".
E conclude: "Il nostro rifugio era diventato una via di mezzo tra più cose, e per questo era arrivato il momento di prendere una decisione. Vi aspettiamo".
(Lucia Brunello, da “Il Dolomiti”, 25.11.2021)

19 nov 2021

Angelo Gaspari, guida alpina sfortunata

Quest'anno, tra gli anniversari legati all'alpinismo dolomitico, ce n'è uno, sicuramente secondario nella storia, ma che a nostro giudizio merita un piccolo cenno, se non altro per la sua singolarità. Il 1° luglio 1865, nel villaggio di Ciae-Chiave a Cortina, che si stende ai piedi del Pomagagnón, vedeva la luce un uomo che avrebbe lasciato una pur labile traccia nella storia locale, se non altro per il suo sfortunato destino. Si trattava della prima guida alpina locale che perì nell'esercizio del proprio mestiere.
Quell'uomo si chiamava Angelo Gaspari, "Moròto" nell'antico soprannome di famiglia. Come tanti altri valligiani, aveva una bottega di falegname; a trent'anni la Sezione Ampezzo del Club Alpino Tedesco-Austriaco, attiva dal 1882, gli aveva consentito di esercitare anche la professione di guida alpina e come tale, con altri ventidue compaesani, Gaspari figura nella "Tariffa per le guide di montagna del Distretto Giudiziario d'Ampezzo", datata 26.4.1898.
In quindici anni di attività, il "Moròto" fu una guida rinomata, ed a lui si lega anche un paio di prime salite. Nel 1899, con il collega Angelo Maioni "Bociastorta" e le non meglio identificate sorelle Schmitt, salì il camino che taglia verticalmente sul lato sud la Gusèla del Nuvolau, sopra i pascoli di Giau. Di quel ripido camino, che Antonio Berti, nella guida delle Dolomiti Orientali, valutò di V, di sicuro avranno un ricordo Enrico e Federico, che circa ottant'anni dopo ne furono tra i pochi ripetitori. Il 26 agosto 1911, Gaspari scoprì con E. Heimann anche una utile variante di IV- alla via normale sull'avancorpo sud della Torre dei Sabbioni nelle Marmarole, ancora percorsa da chi sale la Torre.
Angelo Gaspari e Baldassarre Verzi in parete

Due giorni dopo quest'ultima, il 28 agosto 1911, il povero Angelo, nell'ardito tentativo di trattenere il cliente che aveva perso l'appiglio sull'esposta “Lasta” della via normale del Monte Cristallo, precipitò ferendosi a morte.
La moglie Maria e il figlio settenne Giovanni, che diverrà un famoso imprenditore nel campo dello sci, furono i primi a Cortina a godere delle provvidenze economiche della “Cassa di sussidio per malattie e infortuni”, in breve “Cassa Schmidt” dal nome del tedesco Anton Schmidt, che ne aveva suggerito l'istituzione nel 1896 e ne fu il primo munifico sostenitore.
Una curiosità: il 6 settembre 1981, alcuni soci del Cai Cortina salirono sul Piz Popena a recuperare il vetusto libretto di vetta presente lassù fin dal 1910 e firmato da nomi illustri, Antonio Dimai, Angelo Dibona, Emilio Comici, Ettore Castiglioni, Enzo Cozzolino. Sotto l'ometto della cima, giaceva una scatola con alcuni biglietti di visita: uno di essi era stato lasciato nel 1906 da Angelo Gaspari "Moròto" che - forse anche per imitare le guide valdostane - usava il francese per presentarsi come “Ange Gaspari, guide du Club Alpin”.

5 nov 2021

A proposito del termine alpinistico "apritore"

Nel suo interessante studio sulle “Parole antiche”, 4° volume della serie “Le parole dell’italiano” (R.C.S., Milano 2020), Vittorio Coletti - professore emerito di Storia della lingua italiana - scrive che tra “i nomi in -tore, anche se i mestieri e le attività si sono col tempo moltiplicati […], e quindi i nomi aumentati, molti si sono perduti, perché la lingua antica ne aveva prodotto anche per designare gesti occasionali o persone che non abitualmente ma solo in una data occasione facevano quell'operazione o quel lavoro o quel gesto.
Secondo il docente, accanto ad altri termini, oggi sarebbe uscito dall'uso anche “apritore”, un vocabolo già presente nel Decamerone di Boccaccio. Limitandosi all’uso che ne è diffuso nell’ambiente dell'alpinismo, forse l’affermazione si potrebbe correggere: indubbiamente il sostantivo risulta ancora vitale, seppure percepito in modo diverso, e identifica “chi apre, chioda, realizza una via alpinistica.”
La guida Ferruccio Svaluto Moreolo (1959-2021),
fecondo apritore di vie sulle Dolomiti
Quindi, almeno in montagna, “apritore” non sembra un termine perduto soltanto perché “indica non un’attività stabile, un mestiere, ma un’azione episodica…” Penso agli alpinisti che hanno aperto il maggior quantitativo di vie in roccia: ieri, come Severino Casara (129 percorsi nelle Dolomiti, in 51 anni di attività), Ettore Castiglioni (123, in 20 anni), Gabriele Franceschini (116, in 29 anni), e oggi, come Eugenio Cipriani (oltre 500 vie dal 1978) e Roberto Mazzilis (anch’egli più di 500 dal 1978, quasi solo sulle montagne Carniche e Giulie, e tuttora attivo). Non dimentichiamo poi coloro che chiodano e liberano tiri in falesia, aprono percorsi su ghiaccio o su misto, sciano lungo nuove linee su pareti ripide…
Per quanto non vada legato ad una vera e propria professione, il termine ”apritore” sembra quindi godere ancora di una certa vitalità.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...