30 apr 2021

Piz Ciampèi, "Carneade" delle Dolomiti

Irrilevante per l'alpinismo, il Piz Ciampèi (2290 m.) fa da sentinella fra il territorio di Livinallongo e quello badiotto e balza subito agli occhi dalla piana di Intrà i Sasc, tra il Passo Falzarego e il Valparola. Appartiene alla dorsale del Col di Lana e le sue pendici sono lambite da chi si dirige verso il Setsas, per farne il giro o salirne la cima, oppure da chi desidera raggiungere il Col di Lana o anche solo vagabondare sui prati di Pralongià.
Eppure, quanti lo conoscono e l'hanno visitato?
Iside e il sottoscritto, che in anni di escursioni setacciammo a fondo i nostri monti e in quei paraggi passammo più volte, non avevamo mai sentito nominare il Piz. Fino al 9 settembre del 2012. L'idea ci venne dall'amico Sandro, che aveva salito la cima pochi giorni prima di noi, per relazionarla nel sito web al quale collaboravamo entrambi.
E così in una domenica già pervasa dai primi brividi d'autunno, cercando una delle gite che animarono una stagione un po' pigra, andammo a mettere il naso in quell'angolino dolomitico. Possiamo dire che, come capita, la nostra voglia di novità fu ben ripagata.
Per accostarci al Piz, usciti dal sentiero che parte da Valparola ci alzammo per tracce sui pascoli di Gerda, ancora risuonanti di bovini, mirando alla distesa di mughi che si spinge verso la cima. Lasciati i mughi, non ci volle molto per conseguire il castello terminale, poco elevato ma di rocce puntute e friabili. Superatolo a destra senza eccessive difficoltà, in breve raggiungemmo la rustica croce di vetta. Dalla stretta cima, sull'ombroso versante che guarda l'Armentarola cercammo subito un'alternativa per il ritorno, ma invano...
In vetta al Piz Ciampèi

Giunti su una montagna, specialmente se nuova, mi veniva spontaneo confrontarla con mete già note; a questo riguardo, associai il Piz Ciampèi a due vette già salite più volte, lo slanciato Becco Muraglia, caposaldo della Muraglia di Giau, e il selvaggio Monte Nero di Braies, rilievo di rocce e mughi a picco sul lago.
Dal Ciampèi, distante un'oretta dal trafficato Passo Valparola e dalla folla che anima i resti di guerra della zona, la visuale è davvero ampia e meritevole: a N e O la Val Badia e le sue cime, fino al Sas da Putia e al Boè; il Piz Cunturines, il Lagazuoi, il Sas de Stria e il Setsas; a S e E, più discosti, l'Antelao, il Nuvolau, la Croda da Lago, il Cernera, il Pelmo, la Civetta, il Pore, il Col di Lana, un tratto della Marmolada e via via, oltre le Pale di San Martino.
Dopo il "riposo del guerriero" al sole di una cima pur modesta, ma inquadrata in un ambiente grandioso, scendendo ci attrasse una singolare trincea fra le rocce basali con scarsi resti di guerra; qui si materializzò l'unico compagno della giornata, un bel camoscio solitario.

16 apr 2021

Sulla Torre Quarta d'Averau

Quarantotto anni fa di questi giorni, il 15 aprile 1973, due grandi alpinisti di Cortina già prossimi alla cinquantina, Lino Lacedelli e Renato "Renè" De Pol (caduto due settimane dopo sulla Punta Fiames), aprirono una via di un'ottantina di metri di lunghezza sulla parete nord della Torre Quarta, di cui poche fonti riportarono la notizia.
Valutata di 6° (il grado fu poi ritoccato da alcuni ripetitori), fu l'ultima nuova via di Lacedelli, ventinove anni dopo la sua prima conquista, sulla Cima Ovest della Torre Grande. Breve ma secca, in seguito la via Lacedelli-De Pol fu ripetuta alcune volte e forse non è stata ancora dimenticata.
La  Torre Quarta, foto E.M.

La torre, divisa in due cime adiacenti, emerge come un enorme dente fra le guglie d'Averau ed è stata salita da ogni lato: la via normale è una esperienza le cui peculiarità possono far sorridere chi arrampica, abituato oggi a valutare le avventure con cocktail di cifre e lettere e non più con i numeri che un tempo marchiavano le difficoltà.
90 m. di 3° e poco più, una parete verticale, solida e sicura, in una zona che ormai sa più di falesia che di montagna; una via che è rimasta nella mente dello scrivente, per due motivi.
Il primo: nell’ottobre del 1979, per sfidare arcani timori che da tempo mi accompagnavano, la salii con la corda nello zaino. Non fu né la prima né l'ultima "solitaria", ma senza dubbio la meno semplice.
Il secondo: la via normale della quarta delle Cinque Torri si deve ad un grande alpinista, Angelo Dibona, che la salì con il compaesano alpinista Amedeo Girardi, nel settembre 1911.
Nel 1979 l’avevo già percorsa, e lo feci ancora in seguito. Certo è che in quella domenica riuscii a calcare senza nessuno davanti né dietro la cima, dove ricordo un malconcio libro di vetta, con qualche firma illustre. Quando mi sentii pago, mi venne fame: tre doppie ed eccomi sotto l’ampio tetto giallo ai piedi della Torre, al riparo dalla pioggia incombente. 
Qui alcune amiche stavano preparando salsicce per ristorare la compagnia, dispersa fra le torri.

9 apr 2021

La Croda del Béco, o Cu de ra Badéssa, cima ricca di storia

Discorrendo con alcuni locali, rimasi un po’ stupito del fatto che due o tre di loro conoscessero bene la montagna detta Croda del Béco, ma ancora non sapessero perché veniva, e da molti viene tutt'oggi denominata “el Cu de ra Badéssa”.
La ragione è un po' più seria di quanto il nome possa far pensare, e su questa questione storico-toponomastica degna di un approfondimento ho radunato due notizie.
Ai conoscitori del territorio di Cortina non occorrerà presentare la Croda del Béco, massiccia elevazione del gruppo della Croda Rossa che raggiunge i 2810 m, a sud domina con caratteristici lastroni levigati la Monte de Fòses ed a nord precipita per un chilometro verso il Lago di Braies. 
La Croda sorge sul confine tra Cortina, Marebbe (dove è chiamata Gran Sas dla Porta) e Braies (dove è chiamata Grosser Seekofel), al limite nord del Parco Naturale delle Dolomiti ampezzane. Proviamo a guardarla da lontano, per esempio dalle case di Bigontina: per la somiglianza del duplice dosso finale (il più elevato, con la croce di vetta, è il sinistro) con due giganteschi glutei, molti secoli fa i nostri avi battezzarono il monte, già salito da pastori e cacciatori e reso nota da Paul Grohmann con la prima ascensione turistica, compiuta il 15.9.1874, “el cu de ra Badéssa” (occorre la traduzione?)
Il nome si lega ad un fatto storico. Il crinale della Croda del Béco, infatti, fece per secoli da confine tra il territorio di Ampezzo e quelli amministrati dal convento di Sonnenburg, oggi Castel Badia, in comune di San Lorenzo di Sebato presso Brunico.
A metà del '400, la più nota delle badesse di Sonnenburg, l'energica e bellicosa Verena von Stuben, tentò con la forza di annettere la florida conca ampezzana ai territori soggetti all'autorità del convento, con i quali la cima confinava. Dopo lunghi scontri e mediazioni, nel 1471 la badessa (che tra l'altro si era più volte ribellata all'autorità del potente Vescovo di Bressanone, il Cardinale filosofo Nikolaus von Kues-Nicolò Cusano) dovette desistere e la vertenza per il confine terminò.
La Croda del Béco con il sottostante rifugio Biella
Fu così, dunque, che gli ampezzani presero a chiamare sdegnosamente e con feroce ironia il monte dalla forma tondeggiante, che ricordava loro la prosperosa e odiata suora, “el cu de ra Badéssa”. Questa è l’origine del nome popolare ampezzano, che oggi rischia di impallidire; cruente vertenze per i confini non se ne accendono più, carte e guide riportano il nome Croda del Béco (anzi, più spesso Becco) e chi sale dal sottostante rifugio Biella si dedica all’ampio panorama dalla cima, sorprendendo spesso qualche stambecco al pascolo, ma al riferimento alla storia antica non fa certamente più caso.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...