26 set 2020

50 anni del Diedro Dallago sulla Cima Cason de Formin

Il crinale della Croda da Lago nel gruppo omonimo, articolato in aghi, punte e torri, anche se fu esplorato dai pionieri fin dal 1878, non offre dappertutto roccia solidissima. 
Una cima sembra comunque un po’ più solida delle altre. Scalata nel 1930 e da allora costellata di percorsi, l’ultimo dei quali mezza dozzina di anni fa, è la Cima Cason de Formin (m. 2376), che guarda con una parete giallastra il pascolo e il Cason omonimi, e si vede bene salendo dal Ponte di Rocurto al rifugio Croda da Lago. 
Non si sa se la cima, non semplice da raggiungere, avesse un nome già al tempo dei pionieri: dal punto di vista esplorativo, fu scoperta da quattro ampezzani, le guide Angelo Dibona e Luigi Apollonio e i fratelli Rinaldo e Olga Zardini, che il 17 luglio 1930 tracciarono la prima via sul lato ovest. 
Quarant’anni dopo, dunque mezzo secolo fa, la guida Franz Dallago con Dino Constantini battezzò invece il diedro che solca la parete sul versante affacciato alla Val Formin: un diedro grigio e verticale, lungo oltre duecento metri e ricco di clessidre naturali, che offre una salita classica, molto piacevole e coinvolgente. Nella prima lunghezza, il passaggio più difficile della via (V grado) si può furbescamente evitare attaccando per la via Dibona e salendo per rocce gradinate. 
Cima Cason de Formin,
dal sentiero 434 (C. Bortot)


Dallago e Constantini scalarono il diedro, da alcuni detto «del Naza», il 23 settembre 1970, usando un solo chiodo e inaugurando una via di indubbio successo. Nel luglio 1976 Diego Ghedina, Franco Alverà e Ivo Zardini vi tracciarono una breve variante: non conosciamo alcunché della prima ripetizione, prima solitaria e prima invernale, anche perché non risulta che la cima abbia mai avuto un libretto per le firme. 
Dopo cinquant’anni, i primi salitori – ultra settantenni in gamba - certamente ricordano la via scoperta sulla Cima Cason de Formin, che ha dato da impegnarsi e da divertirsi a più di una generazione di frequentatori delle Dolomiti. 
Se ci sarà sempre qualcuno che si trova a proprio agio su rocce non estreme, dove è prima di tutto la Montagna, e poi il gesto atletico, che conta, altri ancora troveranno certamente soddisfazione su quel diedro.

8 set 2020

Hans, storico gestore del "Fonda Savio" (1935-2020)

Il 27 agosto si è spento Hans Pörnbacher, storico gestore del rifugio Fonda Savio. 
Guida alpina e maestro di sci originario della Valle Aurina, uomo di montagna schietto e affabile, si è addormentato nella sua Campo Tures a due mesi dall'85° compleanno. 
Noto fra i suoi paesani come “Öler-Hons”, a metà degli anni '60 aveva rilevato dal precedente gestore, il rifugio al Passo dei Tocci sui Cadini di Misurina, aperto dalla Sezione XXX Ottobre del Cai di Trieste nel 1963 e intitolato ai fratelli Paolo, Piero e Sergio Fonda Savio, nipoti dello scrittore Italo Svevo, caduti durante la 2^ guerra mondiale. 
Con la moglie Lina e i figli Marianna e Florian, che poi gli è succeduto, Pörnbacher condusse il rifugio fino a qualche anno fa, ritirandosi quindi a vita privata nella casa di Campo Tures. 
Per ricordarlo, sconfino nel personale, ed estendo il mio ricordo anche ai familiari di Hans che ho conosciuto. Dopo aver visitato il rifugio già dalla prima gioventù per escursioni e ferrate, nel quindicennio 1981-96 salii per diciannove volte - con una serie di amici – la classica e piacevole via Mazzorana-del Torso sulla fessura sud della Torre Wundt, torrione dolomitico a poca distanza dal rifugio. 
Il rifugio Fonda Savio e la Cima Cadin
del R ifugio (foto B. Contin)
Ogni qual volta si giungeva su al Fonda Savio per arrampicare o solo per camminare, era un'abitudine passare alla capanna per gustare l’ottimo strudel di Lina e una buona birra, e non mancavano mai due battute con i gestori.
Ricordo che Hans, al quale avevo detto della mia parentela diretta con Lino Lacedelli, anche lui affezionato alla zona, vedendomi mi accoglieva, con il suo marcato accento tirolese, quasi sempre così: “Lazzedèli, come stai?” oppure “Sei venuto su per la tua Tore?” 
Ricordo con simpatia il valente rifugista e saluto la famiglia, che gli è stata vicina fino alla fine; pur non avendo da qualche anno l'occasione di raggiungere un rifugio che ho amato più di altri, rivedo ancora la figura di Hans, le sue parole e i suoi consigli.

1 set 2020

1° settembre, sullo Spigolo Dibona

Quanto può contare per qualcuno, lasciare il proprio nome su uno dei tanti libri di vetta che costellano i nostri monti? Molto, e lo dico con convinzione. Il fatto è questo: il 1° settembre di qualche anno fa, salimmo in tre lo “Spigolo Dibona” della Cima Grande di Lavaredo.

Una via famosa, che personalmente non ricordo troppo difficile; ritenuta un po' rischiosa per le scariche di sassi smosse da chi sale, riveste un grande rilievo storico, legandosi ad una figura importante per l'alpinismo, Angelo Dibona, e fu una piacevolissima esperienza.

Giunti sul cengione sotto la cima, il tempo stava cambiando velocemente, ma l’amico Renzo (che aveva già superato la cinquantina ed avrebbe potuto essere nostro padre) volle a tutti i costi salire in vetta, per vedere la croce e firmare il libro. 

L'amico Renzo (1933-2010, foto archivio R .A.)

Gli interessava il panorama che si gode da lassù; disse che forse sulla Grande non sarebbe mai più salito, e dunque avrebbe gradito lasciare il suo nome su una vetta, che spesso gli alpinisti saltano, giudicandola superflua. 

Fummo d'accordo: giunti alla croce firmammo il libro, facemmo merenda e, visto il cielo ormai nero, ci affrettammo a scendere. Lungo il ritorno - in cui incrociammo altre cordate - sopravvenne un furioso temporale, che ci bagnò fino alle ossa, trasformò la parete in un torrente, complicò le manovre di corda e tutto quello che ne consegue.

Giurammo che, se fossimo giunti a terra incolumi, avremmo festeggiato come si deve lo scampato pericolo: e così fu. Da Molin a Misurina facemmo incetta di tè, tè con rum, vino e infine grappa, tanto che la discesa verso casa... divenne molto più alpinistica della salita.

L’amico se n'è andato dieci anni fa. Quando ci incontravamo, seppure a distanza di tempo, i nostri discorsi vertevano quasi sempre sull'unica ascensione fatta insieme, sulla cima che lui non rivide più, sul furioso temporale, sulla storica "balla" che ci portammo a casa.

Per noi giovani, ma soprattutto per lui, quella domenica sullo Spigolo Dibona penso abbia costituito senza dubbio un ricordo incancellabile.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...