30 dic 2020

La variante della Dimai sulla Fiames: curiosità storiche

Chiudo l'anno con un post di quelli che mi piacciono di più: un tentativo di ricostruzione storica di parte di una via alpinistica delle nostre montagne. Buon 2021 a tutti i lettori.
Me ne aveva già accennato tempo fa Franco, guida alpina e cultore di storia ampezzana; di recente ho poi riscoperto una fonte, che mi ha indotto a saperne di più. 
Di seguito pertanto cercherò di chiarire quello che giudico un minuscolo "mistero" di storia alpinistica: la paternità della «Variante» alla via Dimai-Heath-Verzi sulla sud-ovest della Punta Fiames, classica aperta 120 anni fa ed ancora oggi amata e frequentata. La via, che sale lungo la vasta parete alla ricerca delle minori difficoltà, nella 10^ cordata nasconde il «passaggio chiave»: un camino liscio, un po' strapiombante e spesso bagnato, che l'aneddotica ricorda come «el camin de Frasto» per una tragicomica vicenda che vi accadde nel 1905.
Per evitarlo e semplificare la via, che veniva percorsa spesso anche in discesa, quando non c'era la ferrata Strobel e le condizioni della normale (facile, ma esposta a nord) non erano sicure per la neve ed il ghiaccio, poco dopo l’apertura fu ideata una variante che dribbla il tratto più difficile della Dimai lungo una serie di camini e vi si riunisce dopo l’11^ cordata. 
Nella loro guida del Pomagagnon-Cristallo del 1981, Jurgen e Angelika Schmidt assegnarono alla variante un dislivello di 80 metri e uno sviluppo più che doppio, con difficoltà inferiori rispetto al camino Dimai. Nel 1908 de Falkner, in «Le Dolomiti del Cadore», aveva spiegato che: «...oggi si preferisce una variante per la quale si raggiunge la via descritta circa a metà parete, evitando l’esposta traversata». Da questo inciso si deduce che, sette anni dopo la conquista della parete, la variante già esisteva ed era utilizzata. 
La relazione e lo schizzo della variante non mancano nel «Berti» dall’edizione del 1928 all’ultima, del 1971: per l'occasione, però, mi sono spinto oltre. Consultando «Dolomiti di Cortina d’Ampezzo», guida firmata nel 1925 da Ugo di Vallepiana con note di Antonio Berti e Federico Terschak, forse ho trovato il busillis: la variante, che «...serve per scansare il camino e le pareti prima e dopo la grotta...» sarebbe stata aperta da «Piaz, Rizzi». 
Il passaggio del "Camin de Frasto" (foto F.G.)
Al riguardo è stato logico pensare alle guide fassane Tita Piaz (1879-1948) e Luigi Rizzi (1869-1948), che negli anni Dieci del '900 lavoravano molto anche fuori dalla valle nativa. La fonte scoperta mi ha incuriosito, soprattutto in ragione del fatto che, nonostante numerose salite della via Dimai negli anni della gioventù, ignorai sempre la «Variante», e non pensai mai di sperimentarla, anche soltanto per fare qualcosa di nuovo.

22 dic 2020

Vagabondando fra i nomi delle montagne d'Ampezzo

Chi scrive ha nel cassetto, in attesa di tempi migliori, una collezione personale di toponimi ed oronimi del territorio ampezzano che vantano origini post-belliche o alpinistiche, per cui in genere non si perdono nelle tenebre medievali e distinguono forcelle, rifugi, vette e luoghi vari scoperti in conseguenza dell'utilizzo turistico delle nostre montagne.

Finora nella collezione se ne sono accumulati oltre 120, a partire da quelli coniati nel 1860-70 da Paul Grohmann, il “primo salitor delle montanie d'Ampezzo” come ebbe a definirlo una delle sue guide, Angelo Dimai Deo senior, e fino a tempi recenti.

Alcuni oronimi e toponimi sono legati a peculiarità morfologiche del territorio, altri a persone - alpinisti o meno - che ebbero qualche relazione con i luoghi o con la storia locale; altri ancora vanno ricondotti ad uomini o cose di cui - man mano che il tempo avanza - è sempre più complesso ricostruire i contorni.

Punta Erbing, oronimo coniato nel 1905 (foto E.M.)

Diversi nomi erano ignoti nella valle d'Ampezzo prima della Grande Guerra (ad esempio, sono di formazione bellica almeno: Becco Muraglia, Castelletto, Col Gallina, Col Pistone, Testaccio); altri sono nati negli ultimi decenni (Guglia Raffaele, Torre Elisabetta e Torre Paola sono creazioni della guida Franz Dallago poco più che "adolescenti", del 1996), altri ancora derivano da toponimi ladini originali "addolciti" ad uso turistico (Cima Prati, Ra Valles, Rio Gere, Forcella Rossa, Vitelli). Tutti insieme formano un gruppo compatto e abbastanza folto di termini, e non tutti sono stati analizzati a fondo dagli autori e dai testi che si sono occupati della toponomastica ampezzana.

Insomma, lavoro da fare al riguardo ce n'é ancora, e sicuramente nel prosieguo delle indagini - che contiamo di fare, complice l'attuale maggior disponibilità di tempo libero - usciranno magari notizie e curiosità stimolanti per chi attende a questi studi, preziosi e particolari.

18 dic 2020

Quarant'anni fa sulla Cima, o Torre del Lago

Ah, quanti ricordi! Negli anni Ottanta, fra tante altre, salimmo più volte una via che, per estetica e qualità, ci parve tra le più belle offerte di stampo classico sulle montagne intorno a Cortina.
Il giudizio, comunque personale, viene anche dal fatto che, lungo l’itinerario e su quella cima, solo una volta ci capitò di incrociare altre persone. Mi riferisco al diedro O.S.O. della Cima del Lago (o Torre del Lago?: la via termina sulla cresta fra le due cime, che di solito non si salgono!) nel gruppo di Fanes, che guarda il Lago del Lagazuoi.
L’itinerario fu tracciato il 2.8.1954 dai romani Dall’Oglio, Consiglio e Micarelli, mentre compivano una campagna esplorativa nella zona. A lungo trascurato, fu riscoperto da Enzo Cozzolino di Trieste, che lo salì - per primo in solitaria - intorno al 1970; da allora è stato ripetuto, incluso in antologie di scalate scelte e giudicato interessante e piacevole.
La via si sviluppa per 400 metri: i primi 150 hanno difficoltà limitate e interesse relativo, mentre il resto si svolge su roccia solida, e sono sei cordate non oltre il 4°+. A quel tempo nel diedro i chiodi erano molti meno degli undici usati dai primi salitori, ma comunque bastevoli, perché ci si assicurava naturalmente un po’ dappertutto.
La mia prima salita personale del diedro risale al 26.9.1980, quando ci andai con Enrico. Nell'agosto 1981 vi tornai da primo con Mario di Bologna, e lasciai lassù un libretto di via; nel 1985 con Sandro superammo il diedro, un tiro a testa, in un’ora e mezza e infine nell’ottobre del 1986 vi tornai con Nicola, ancora da primo.
21 luglio 1985, con Sandro
A queste salite va sommato anche un tentativo, "fallito" ai piedi del tratto superiore per i sassi smossi da una cordata che ci prevedeva, compiuto con mio fratello e due amici ai primi di ottobre 1982. Il ricordo del diedro, tecnico ma mai snervante, in un ambiente maestoso ma non opprimente, con una discesa da scoprire ma non complicata, dopo un quarantennio dal primo approccio è sempre vivo e non svanisce.

8 dic 2020

Il Calvario della Punta Fiames nelle Dolomiti

L'appassionato che conosca la Punta Fiames, cima emergente dal profilo della valle d'Ampezzo verso nord-est, quasi certamente conoscerà anche il "Calvario". Nota agli scalatori perché è utile soltanto a loro, è la traccia, oggi più definita ma ancora un po' arcana, che unisce le pendici cosparse di mughi del Pomagagnon, dette “Cojinàtes”, con gli attacchi degli itinerari sulla parete sud-ovest della Punta: le classiche Dimai e Jori, la Direttissima, la Centrale, la moderna Paolo Rodèla.

Per capire il perché del nome di Calvario, assegnato alla traccia in epoca e da persone ignote e trasmesso solo oralmente, si provi a percorrerlo in un giorno di sole; data l'impietosa esposizione a sud, risulterà torrido e faticoso. Si aggiunga la mancanza di acqua lungo l'accesso, che dalla zona ospedaliera di Cortina, base di partenza per molti scalatori, richiede oltre un'ora (se non si sbagli sentiero), e il quadro è completo.

Il Calvario, non facile - e in ogni caso, illogico - per i semplici escursionisti, poiché ad un certo momento la traccia è sbarrata da un camino di 20 m, di roccia buona ma verticale e sprotetto (3° inf.), fu scoperto dalle guide Antonio Dimai e Agostino Verzi ad inizio secolo, mentre perlustravano la parete cercando la prima via, sulla quale poi accompagnarono il 7 luglio 1901 il cliente J.L. Heath.

Desta senz'altro ammirazione l'intuito dei due ampezzani, che almeno fino alla Grande Guerra formarono una solida e celebre cordata, nell'insinuarsi fra ghiaie, mughi, rocce e terra verso la terrazza inclinata emergente sullo zoccolo, dalla quale iniziano le vie.

Il Calvario prende avvio ai piedi della Punta della Croce, un po' spostato rispetto alla verticale della Fiames; sale sinuosamente, piega verso la Fiames, valica il canale che la stacca dalla Punta della Croce e continua infine sullo zoccolo fino ad una macchia di ghiaie che spicca già da Cortina.

Punta Fiames e Calvario (foto I.D.F. novembre 2020)

Il primo tratto del percorso, che nasce dal sentiero di Forcella Pomagagnon ai piedi del grande ghiaione e traversa dapprima quasi in piano superando vari canali detritici, che ogni anno mutano forma e aspetto, è agevolato da qualche segnavia, che rassicura chi non conosce la zona.

Il 16 dicembre 1984, una giornata tiepida e quasi estiva, salii il Calvario con Roberto, che desiderava conoscerlo. Giunti alla macchia di ghiaie, facendo merenda gli illustrai il percorso della soprastante via Dimai, che quell'anno avevo salito due volte; dopo un bagno di sole, prendemmo contenti la via di casa e per pranzo eravamo a tavola.

Ricordo come molto piacevole quella pur "illogica" divagazione; avendo l'attrezzatura, sarebbe stato bello proseguire per la Dimai, una via che - per chi crede a queste cose - oltre ad un valore alpinistico, ne ha anche uno storico e ambientale. Dopo molti anni, la ricordo bene.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...