15 mag 2021

Scalando la Punta Fiames

Non tutti coloro che conoscono la Punta Fiames, che disegna lo sfondo della conca d'Ampezzo verso nord, sanno cosa sia il "Calvario". Nota agli scalatori perché utile solo a loro, è la traccia, definita ma sempre un po' vaga, che collega le falde del Pomagagnon con le vie sul lato sud della Punta: la Dimai-Verzi, lo spigolo, la Centrale, la moderna Paolo Rodèla.
Per scoprire l'origine del nome "Calvario", dato alla traccia non si sa quando né da chi e diffuso solo a voce, basta seguirla in un giorno di sole; data l'implacabile esposizione, il più delle volte l'esperienza risulta torrida ed estenuante. Si aggiunga la mancanza di acqua sul tragitto, che dall'ospedale Codivilla – comodo punto di partenza per la parete - se s'imbocca il sentiero giusto richiede un'ora e più, e il quadro è completo.
Sulla parete, agosto '82

Illogico per una gita poiché, ad un certo momento, la traccia fa i conti con un lungo camino, di roccia solida ma verticale e non facile, il Calvario fu scoperto dalle guide Antonio Dimai d Agostino Verzi, studiando la prima via della parete sulla quale poi, il 7.7.1901, condussero il londinese J. L. Heath.
Va senz'altro ammirato l'intuito di Dimai e Verzi, che fino alla Grande Guerra formarono una forte cordata, nell'individuare un passaggio sullo zoccolo della parete, verso la terrazza ghiaiosa, dalla quale iniziano le vie. Il Calvario comincia sotto la Punta della Croce (nomen est omen!), un po' spostato rispetto alla verticale della Fiames; sale tra ghiaia, mughi e terra, piega verso la Fiames, supera il canale che la divide dalla Punta della Croce e si alza sulla prima parte della parete fino ad una chiazza ghiaiosa che si vede già da Cortina.
I libri non danno indicazioni chiare, e chi sale il Calvario si giova dell'abitudine, di indicazioni orali o del proprio intuito. Il primo tratto del percorso, che parte dal sentiero di Forcella Pomagagnon sotto le rocce e traversa dapprima quasi in piano, superando poi alcuni canali tormentati da frane, è agevolato da qualche bollo rosso per rassicurare gli indecisi.
Modestamente, ho percorso il Calvario venti volte. Il 16.12.1984 vi andai con l'amico Roberto, che voleva sperimentarlo: giunti senza problemi alla chiazza ghiaiosa, mentre sgranocchiavamo qualcosa gli parlai della via Dimai, che frequentavo da tempo. Un po' di relax in quel recesso dolomitico aspro e incredibilmente silenzioso, rese meno faticoso del previsto il dover riprendere la via di casa.
Entrambi gustammo molto quella stramba divagazione; oggi penso che, debitamente attrezzati, non avremmo esitato a continuare per la Dimai, che - per chi dà valore a certe cose - oltre a quella alpinistica riveste anche una certa importanza per la storia. Dopo tante avventure, la ricordo sempre con affetto.

11 mag 2021

I Bagni di Campo, un'impresa turistica di scarsa fortuna

Molto tempo prima che nella regione dolomitica prendesse piede la moda di salire sulle cime, gli stranieri che venivano a conoscere i Monti Pallidi erano indirizzati verso i paesi della Val Pusteria (Braies, Dobbiaco, Monguelfo, San Candido, Villabassa) dall’opportunità di usufruire di bagni termali di varia ampiezza e valore terapeutico.

Anche nella valle d’Ampezzo, nel villaggio di Campo di Sotto e sulla riva della Costeana, il torrente che scende dal lago di Ciou de ra Maza sotto il valico del Giau, già all'inizio dell’800 era stata trovata una fonte di acqua minerale, leggermente solforosa. Prevedendo un possibile business, ci fu subito chi partì per Innsbruck con alcuni campioni del prezioso liquido al seguito, da sottoporre al parere di tale dottor Öllacher, rinomato chimico.

Dopo aver appurato che, sia per qualità che per combinazione degli elementi minerali presenti, le acque ampezzane non erano certo inferiori a quelle della Pusteria e avrebbero potuto fornire anch’esse un valido aiuto per curare affezioni, soprattutto  reumatiche, Gaetano Ghedina Tomàsc (1804-1877), proprietario dell'Albergo Aquila Nera e riconosciuto mentore dello sviluppo turistico nella conca ampezzana, si attivò per costruire uno stabilimento termale, che dal 1831 venne gradualmente ingrandito, fino a disporre di dodici vasche per abluzioni in legno di cirmolo.

I Bagni di Campo, in una vecchia stampa

Nel corso degli anni, però, la somma delle frequentazioni (122 bagnanti nel 1869; 98 nel 1870; soltanto 25 dieci anni dopo) e i risultati finanziari dell'impresa dei Bagni di Campo si dimostrarono sempre più deludenti, rispetto alle ottimistiche previsioni iniziali. Fu così che nell’autunno 1882, quando una rovinosa inondazione (la celebre «agajon del otantadoi», narrata in un drammatico resoconto dal giovanissimo testimone Gian Antonio Gillarduzzi de Jobe, che colpì la Pusteria e non risparmiò nemmeno la valle d'Ampezzo) sommerse l’edificio dei Bagni, nessuno ebbe voglia di farlo rivivere.

All'inizio del '900, nelle immediate vicinanze di quello che era stato lo stabilimento, la guida alpina Angelo Maioni Bociastòrta costruì invece un ristorante, in seguito ampliato ad albergo e intitolato al grande pittore Tiziano. che la leggenda narra avesse visto la luce nel 1490 in una povera casa là vicino.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...