15 giu 2021

Spigolo Dibona sulla Cima Grande di Lavaredo: Angelo o Rudl?

Un problema «di lana caprina», per chi va sui monti e non bada a storie e microstorie, ma una questione storica stimolante? Per esempio, la paternità di una salita celebre ed ancora oggi frequentata: lo Spigolo Dibona sulla Cima Grande di Lavaredo.
Lo spigolo, che si affaccia sulla leggendaria parete nord e sale per cinquecento metri su roccia solida, in Italia è normalmente e tranquillamente attribuito alla guida Angelo Dibona, che lo avrebbe salito con Emil Stübler di Dresda in un giorno (Antonio Berti non lo indica, il Cai di Auronzo cita il 16, secondo Fini e Gandini era il 24) di agosto 1909.
Dibona sulla Torre Grande d'Averau,
inverno 1912?
Dibona, allora trentenne, viveva la sua migliore stagione, che durerà fino alle soglie della Grande Guerra, per poi riprendere nel 1921: il cliente si era già segnalato proprio sulla Cima Grande, salendo il 10 agosto 1903 il camino sud con la guida Giovanni Frigo Mosca, di Auronzo.
Ciò premesso, la storia italiana cita lo spigolo come «Dibona», e lo ricorda perché da lassù, l’8 agosto 1968, cadde investito da una scarica di pietre il giovane Ivano Dibona, guida nipote di Angelo; in area tedesca, invece, lo spigolo è detto «Ellerkante».
Per i germanofoni, infatti, la via sarebbe stata salita, in solitaria e senza lasciare alcuna traccia, nell’estate 1908 da Rudolf Josef Eller (Rudl), guida di Lienz classe 1882, e così quella di Dibona sarebbe la prima ripetizione. Eller, buona guida scomparsa nel 1977, è ricordato per molte altre salite e a suo nome sono intitolate una torre e un sentiero attrezzato nelle Dolomiti di Lienz, dove aprì l'Alpenraute Kamin sulla Grosse Laserzwand, salito in solitaria nell’estate 1912.
La doppia paternità è una questione importante? Rileva per la storia delle Dolomiti? O è una questione patriottica, dato che fino al 1918 lo spigolo ricadde geograficamente in territorio austro-ungarico, Dibona ed Eller erano cittadini dell’Impero ma poi Dibona divenne italiano? Tra l’altro, nel 1917 Angelo e Rudl si incontrarono in Val Gardena, dove scalarono insieme alcune cime come guide militari.
Ci vorrebbe una ricerca approfondita su fonti di qua e di là del confine, che non è escluso un giorno o l’altro si possa fare.

12 giu 2021

Ferramenta di un secolo fa sulle crode ampezzane

Tre vecchie vie di roccia sui monti ampezzani celano una particolarità: dal momento che, in apertura, i primi salitori incontrarono difficoltà elevate per l'epoca, per farle conoscere e apprezzare ai ripetitori, stabilirono di facilitarne i passaggi più complicati con ausili metallici.
Le tre vie si concentrano tutte nell’ultimo decennio dell’800 (tra il 1892 ed il 1899) e furono aperte dalla stessa guida: Antonio Dimai Deo (1866-1948), elemento di punta dell’alpinismo nelle Dolomiti tra i due secoli, legato fino ad età matura ad alpinisti illustri.
Iniziando con il primo percorso,  ci portiamo verso la grande e ombrosa parete nord del Sorapis.
Sulla via con la quale il 15 settembre 1892 i tedeschi Müller e von Waltershausen vinsero grazie a Dimai, Arcangelo Dibona Bonèl e Zaccaria Pompanin de Radeschi la parete della sommità più alta del gruppo, un «muro liscio e verticale, alto c. 4 m., che presenta la maggiore difficoltà dell’intera salita» fu agevolato con una fune di ferro e alcune maniglie di piombo, ritrovate oltre un secolo dopo quasi intatte dalla guida Enrico Maioni con il cliente Francesco Del Franco.
Antonio Dimai in azione

La seconda via è la cosiddetta Inglese, che sale sulla Tofana di Mezzo per il versante sud-ovest e fu scalata da Raynor e Phillimore con Dimai e Giuseppe Colli Pàor, l’11 agosto 1897. Lungo il tracciato, una liscia parete molto esposta fu attrezzata già nel 1898 dalla Sezione ampezzana del Club Alpino Tedesco-Austriaco con 6 metri (20, afferma un'altra fonte) di corda metallica, ritenuta ancora affidabile da una guida di Cortina, impegnata pochi anni addietro nella manutenzione della via ferrata della Tofana giusto sopra la Via Inglese, oggi dimenticata.
Il terzo ed ultimo percorso, sul quale Dimai incontrò una strozzatura molto impegnativa, è il destro dei due camini che solcano la parete sud del Sas de Stria. Superato il 12 agosto 1899 dai fratelli Witzenmann di Dresda con Dimai e Giovanni Cesare Siorpaes Salvador, il «difficilissimo passaggio» fu reso più docile con un «moncone di corda di ferro sporgente dalla strozzatura superiore»: si potrebbe ragionevolmente supporre che, data la posizione della cima lungo il fronte, il lavoro sia stato eseguito durante la Grande Guerra, ad uso tattico e strategico, da guide militari.
Una trentina di metri di funi fissate su rocce levigate e strapiombanti: sono tre facilitazioni che in un certo senso anticiparono le vie attrezzate e furono utili agli scalatori e al turismo, già più di un secolo fa.

5 giu 2021

Torre Terza o Latina, un pezzetto di cuore

Nel mio archivio di cartoline alpestri, sempre aperto all'ampliamento, ne conservo una dell'epoca in cui i fotografi le facevano colorare a mano, da validi e pazienti collaboratori. Essa ritrae le Cinque Torri, o Torri d'Averau, o Pénes de Potor o ancora Pénes de Naeròu, secondo la toponomstica autoctona ormai un po' desueta.
Dai dossi antistanti - sui quali non appaiono ancora la seggiovia e il rifugio Scoiattoli, costruiti alla fine degli anni '60 - le guglie si mostrano in una visione classica e molto sfruttata, più apprezzabile dalla terrazza del rifugio.
Nel centro del gruppo di torri emerge la tozza Terza o Latina, alta una settantina di metri, di scarsa storia e rilevanza, anche se da qualche decennio è stata resa un po' più interessante con alcuni monotiri di falesia. Salita in epoca e da persone ignote per l'inclinata parete SE (che può servire per iniziarsi alla roccia, essendo la via meno difficile delle Torri), la Latina appare un po' più attraente dal lato ovest, rivolto al Nuvolau e visibile in primo piano in questa, come in tante altre fotografie (a fianco, nel centro).
 
Le  Cinque Torri, anni '50 (raccolta E.M.)
Da quel lato c'è un altro percorso, un paio di lunghezze verticali sul 3°, anch'esse salite da ignoti e abbastanza interessanti.  Molti anni fa ricordo che circa a metà parete c'era un grosso chiodo di foggia antiquata, piantato lì da almeno qualche decennio. Oltre alle due vie normali, sulla parete sud della torre ce n’è una terza, aperta il 9.8.1942 dallo Scoiattolo Luigi Menardi con i fratelli Lino e Antonio Zanettin e rimasta sempre nell’ombra.
Sotto l'aspetto etimologico, l’oronimo Latina non ha un'origine certa: risulta che caratterizzasse la torre già oltre un secolo fa, quando l'alpinista Vittorio Emanuele Fabbro la salì in solitaria sia da sud, che da nord per una via ritenuta nuova (1914).
Qualunque ne sia la storia, sulla terza torre d’Averau la folla è certamente stata sempre contenuta. Ad essa, fra l'altro, non si sono neppure interessate molte pubblicazioni: «Dolomiti Orientali» di Berti (1956-1971), «Cinque Torri. La palestra degli Scoiattoli» di Dallago-Alverà (1987), «Su par ra Pénes de Naeròu» (2000), dedicato da chi scrive al microcosmo delle Torri, nel quale migliaia di persone hanno iniziato a trafficare con corde, chiodi, moschettoni e staffe, lasciandoci spesso un pezzetto di cuore.

2 giu 2021

Luigi Nichelo, guardiacaccia e guida alpina

Un tempo, tra le guide e portatori che animavano l’offerta turistica di Cortina d'Ampezzo, uno solo «veniva da fuori» (se così si può dire...), poiché non portava uno dei tradizionali cognomi locali, pur vivendo da sempre in paese. Quest’uomo, di cui più sotto si diranno i dati, si era amalgamato bene nella comunità, tanto da meritarsi lo schietto soprannome di «Nìchelo», comune con la famiglia Zambelli.
Si trattava di Luigi Picolruaz, nato nel 1862 in Ampezzo, dove i suoi avi erano arrivati una quindicina di anni prima dalla limitrofa Val Badia. Di professione, come diversi paesani, faceva il guardacaccia, e fu assunto dalle nobildonne Emily Howard Bury e Anna Power Potts, che sul finire del secolo 19°, presso il «Tornichè» (l’ampio curvone che la Strada d'Alemagna fa, a metà tra Fiames e Ospitale) si erano costruite una elegante casa di caccia, chiamata «Villa Sant’Hubertus» e della quale pare un’impresa disperata recuperare immagini fotografiche.
Servendosi di una conoscenza approfondita delle montagne ampezzane, a soli ventidue anni Luigi aveva ottenuto la licenza di guida alpina, che dismise nel 1909. Il suo nome si è trovato nelle fonti disponibili soltanto riguardo alla seconda salita della via originaria Ghedina-Wall (versante Tofane) della Torre Grande d'Averau, compiuta da aspirante il 5 giugno 1883, con le guide Angelo Menardi e Simone Ghedina e un tale Giuseppe Girardi.
La sua figura compare spesso in immagini di caccia, accanto ai nobili che amavano venire in Ampezzo per le loro battute. Picolruaz, che nel primo dopoguerra ebbe un amaro scontro con la Sektion Ampezzo del D.Oe.A.V., in via di rifondazione come Sezione di Cortina del Cai, per aver guidato senza permesso un turista in vetta al Cristallo, si spense sessantaduenne nel 1924.
Luigi Picolruaz è il 1° da destra, seduto
Cinque anni prima la famiglia, che abitava a La Vera sulla Strada d’Alemagna, era stata mortalmente colpita dalla perdita del figlio ventenne Emilio, tornato infermo dal fronte. Essa si è conclusa in linea maschile con Maurizio (1904-1981), ultimo dei figli di Luigi, guardiacaccia  anche lui ed estremo difensore delle memorie avite. Purtroppo il Nichelo non compare ancora sulle due grandi lapidi che in cimitero ricordano le nostre guide e i portatori.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...