30 set 2021

Autunno sul Col Rotondo dei Canopi

La cima che suggeriamo oggi, il Col Rotondo dei Canopi (Knollkopf in tedesco, in Comune di Dobbiaco, 2204 m), fu descritta da Paul Grohmann nella sua guida alle escursioni dolomitiche, già nel 1877: “Il Col Rotondo si innalza fra le valli dei Canopi e di Specie. Non è molto alto, ma poiché si trova isolato, offre una ottima vista circolare. La strada è buona”. Sicuramente qualcuno lo saliva però molto prima: la cima è un crestone allungato e coperto di mughi, che non si eleva di molto dall'altopiano di Pratopiazza, forse in passato ospitava anche greggi ed è accessibile senza difficoltà. Il Col riveste interesse per la salita non troppo faticosa, e per il panorama che apre su numerosi monti dolomitici: in primis sul Cristallo e la Croda Rossa, ma anche su gran parte delle cime d'Ampezzo e della Pusteria.
La miglior soluzione (per i pigri!) per salirlo è giungere a Pratopiazza in macchina o navetta, riducendo la salita a soli 250 m di dislivello. Se si ama camminare, invece, si parte dall'ex cantoniera a 1 km dal Passo Cimabanche, verso Dobbiaco. Qui inizia il sentiero 18, che all´imbocco della Val dei Canopi-Knappenfusstal confluisce in un altro proveniente dal Passo. Casomai possiamo seguire anche questo sentiero-stradina, che inizia sul valico di fronte allo Chalet. Ci inoltriamo quindi nella valle ai piedi dei dirupi del Col Rotondo, e subito c'immergiamo nella storia; stiamo ricalcando la via usata fin dal Medioevo dai minatori pusteresi, per scendere in Ampezzo e recarsi al lavoro nelle miniere del Col Piombin e del Fursil.
Circa a metà valle, in vista di una cascata, valichiamo il rio, deviamo a destra e con alcune serpentine risaliamo un costone. Se il sentiero fosse innevato o gelato, occorre fare attenzione, perché per un tratto si passa a picco sul torrente. Finita la salita, il sentiero diviene una stradina pianeggiante. La cima sta proprio sopra di noi, sulla destra: ad un ponte, pieghiamo a destra e oltre un prato traversiamo un po' al meglio nel bosco e su ghiaie, incrociando una mulattiera di guerra austriaca, marcata ma non segnalata e senza numero.
In cima, in una fresca domenica d'autunno (foto E.M.)
Seguendola, risaliamo con un largo giro il costone verso Pratopiazza, uscendo sul punto più elevato della cresta, dove c'è un ometto, una croce e resti di postazioni. Per tornare a valle, dal punto più a nord della cresta, che si raggiunge per tracce, si potrebbe scendere più avventurosamente su terreno ripido, tenendoci lungo una recinzione che divide i pascoli di Dobbiaco da quelli di Braies e giungendo sulla stradina toccata in salita.
Il Col Rotondo offre una gita semplice, in un bell'ambiente silvo-pastorale. Pur non essendo molto lontano da due frequentati rifugi e una malga, non è eccessivamente noto e battuto. Lassù c'è spazio per riposare, curiosare, fotografare scorci più o meno famosi: si tratta, insomma, di una gita inedita, remunerativa specialmente in autunno.

19 set 2021

Cima d'Ambrizzola, il fascino della storia

La salita nel luglio scorso, da parte di tre amici, di una vetta dolomitica tra le meno battute, la Cima d’Ambrizzola (Pónta d'Anbrizòra, nel nome ampezzano), dà lo spunto per queste note storico-geografiche, con cui desidero rivisitare la montagna.
La Cima è la sommità più elevata del piccolo gruppo della Croda da Lago-Cernera; toccando la quota di 2715 metri, surclassa di soli 6 metri la Croda da Lago vera e propria, la vetta più famosa del gruppo, che fu conquistata soltanto per terza dopo il Becco di Mezzodì e la nostra, nel 1884. Presenta due punte, la Nord e la Sud, unite da una piccola cresta, e la sua storia si è concentrata nell’arco di circa novant’anni. Primi a scalarla dal lato est, il 23.8.1878, furono i cugini e giovani guide Arcangelo e Pietro Dimai Deo, che accompagnavano P. Fröschels e F. Silberstein; i secondi salitori dell'itinerario, il 4.8.1881, furono le guide Santo Siorpaes Salvador e Giuseppe Ghedina Tomasc, con il cliente J. Stafford Anderson.
Becco di Mezzodì, Cima d'Ambrizzola e Croda da Lago,
dalla Rocchetta di Prendera (foto E.M.)

La cima fu poi visitata da ovest, prima da Leone Sinigaglia e Orazio de Falkner con Zaccaria Pompanin de Radeschi e Giuseppe Colli Pàor (Punta Nord, 1895) e poi da Berti e Rossi (Punta Sud, 1904); seguì R. Scheid, che nel 1905 superò in solitaria la gola sud-est. Nell’estate 1913 Tarra e Cappellari giunsero in vetta dalla spaccatura che separa la Cima dalla prospiciente Punta Adi; pochi giorni dopo la guida Bortolo Barbaria Zuchin portò l'Accademico Lusy sulla parete sud, dove fu toccato il V grado. Nel 1930 l’austriaco Peterka salì da solo da sud-ovest; due anni dopo Ghelli, Armani, Terschak, Degregorio e Ghiglione scalarono l’impegnativa parete nord-ovest della Punta Nord; nel 1933 Brunhuber e Coletti tornarono sulla sud, dove trovarono passaggi di VI. L’11 settembre 1966, infine, gli Scoiattoli Franz Dallago e Armando Menardi, ripetendo la via di Ghelli e compagni, aprirono una variante fino al VI grado, che ha messo praticamente la parola fine alla storia alpinistica della Cima, oggi quasi dimenticata e salita molto di rado. Una nota curiosa: la guida di Cortina Enrico Maioni, tuttora in attività, ricorda che la normale della Cima fu la prima via compiuta da professionista, col cliente iberico Manuel Bultó. Era l’estate del 1984.

8 set 2021

Torre Lagazuoi, 75 anni fa

Penso, con un po' di soddisfazione, di essere stato uno dei non moltissimi salitori di una cima che, all’epoca, trovai molto gratificante.
Sto parlando della Torre Lagazuoi, sui monti di Fanes, sulla quale mi portò Enrico in un pomeriggio di luglio del lontano 1981, per la via degli Scoiattoli. La via, aperta da Ettore Costantini, Luigi Ghedina, Ugo Samaja e Mario Astaldi esattamente tre quarti di secolo fa, l’8.9.1946, si sviluppa per quattro lunghezze di roccia solida, anche se sporca.
Foto S. Caldini
Ricordo che sull’itinerario, lungo una parete e un marcato spigolo che ci offrirono una giornata divertente, trovammo pochi, ma buoni chiodi, sicuramente risalenti ai primi salitori. La via ci piacque, ma soprattutto non ci lasciò indifferenti l’aver toccato la sommità di quella guglia, evidente per chi frequenta la zona del Lagazuoi, eppure non troppo calpestata.
Sulla cima ci accolse una piccola piramide di sassi coperta di licheni ed “antica”, allora, di trentacinque anni: per la discesa, ignorando le raccomandazioni generiche della guida “Berti”, attrezzammo alcune calate a corda doppia, infilandoci in un canalone scosceso e giungendo sani e salvi a casa quasi al buio.
Mi pare anche di ricordare che, dopo gli Scoiattoli, qualcun altro abbia tracciato una variante alla loro via, o una via nuova sullo stesso versante, dove peraltro mi pare ci sia poco spazio per scoperte. La Torre Lagazuoi rimane una delle cime che avemmo la ventura di conoscere e dove trascorremmo una bella giornata, animati dall’entusiasmo, dallo stupore e dalla voglia di fare dei nostri vent’anni.
Mi conforta rivivere quell’avventura, che fu una delle tante scoperte dei miei anni ‘80. Se anche l'avessi risalita ancora, sono certo che non avrebbe avuto lo stesso sapore.

4 set 2021

150° della prima ascnsione del Becco di Mezzodì

C’è ancora un po' di tempo, ma vale la pena anticipare che il 5 luglio 2022 cadrà una ricorrenza interessante per la storia d’Ampezzo: i 150 anni da quando due uomini salirono per primi l’inaccesso Becco di Mezzodì (Sasso di Mezzodì, nei verbali confinari di un secolo prima).
Il Becco fu la prima sommità del suggestivo gruppo della Croda da Lago, posto a sud-est della conca di Cortina, a suscitare l’interesse di qualcuno: il Capitano scozzese W.E. Utterson Kelso e Santo Siorpaés Salvadór, ardita guida alpina quarantenne che da anni andava aggiungendo al suo carnet le cime più ostiche del suo paese e non solo.
Al tempo della prima ascensione il Becco, che raggiunge i 2602 m. sul livello del mare, era 
Il Becco di Mezzodì
dal pascolo della Prensèra da Lago (foto E.M.)

condiviso senza problemi tra l’Austria-Ungheria a nord ed il Regno d’Italia a sud: da questa parte, dopo un’accurata ispezione, la guida stabilì di salire col Capitano, infilando due camini che daranno del filo da torcere ad alcuni suoi seguaci e ancora oggi costituiscono una barriera degna di rispetto.
Il punto d’appoggio per salire sul Becco, meta molto trendy almeno nel primo cinquantennio dell’alpinismo dolomitico ma oggi messa un po' in disparte perché di accesso non proprio breve, difficoltà ridotta, dolomia friabile, fu inaugurato il 2 settembre 1901, accanto all’incantevole Lago di Federa, per volontà dell’estrosa guida Giovanni Barbaria. Sul Becco si salì soltanto dal lato «italiano» fino al 1908, quando Bortolo Barbaria e Giuseppe Menardi affrontarono con due clienti e vinsero dopo un tentativo il difficile e muschioso camino che guarda il rifugio e da allora porta il nome dell'ostinato Bortolo, «Camino Barbaria».
Il centenario della conquista della cima, che fu per secoli la meridiana degli ampezzani, fu ricordato dalla Sezione del CAI con una sobria celebrazione il 30 luglio 1972. Quel giorno all’ingresso del rifugio, allora gestito dalla famiglia di Renato Siorpaés, pronipote di Santo, fu scoperta una targa in memoria del duo che si era spinto per primo su quella punta. Ci fu la Messa, poi alcuni Scoiattoli salirono la variante Costantini-Ghedina al Camino Barbaria, aperta nel 1942, e risultò una bella festa.
La ricorda un tredicenne che vi partecipò con il padre, e fin da allora era interessato alle montagne di casa e alle loro storie. Chissà se quel lontano festeggiamento si potesse rievocare?

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...