La Saetta, dalla cresta O della Punta di Sorapis (foto del 1973 di M. Crespan, raccolta E.M.) |
In occasione del movimento tellurico che quarant'anni fa devastò in gran parte la regione del Friuli, l’onda sismica si sentì abbastanza nettamente anche nella conca ampezzana (lo scrivente, al tempo liceale, la ricorda piuttosto bene), e interessò pure le nostre montagne.
In quell'estate del 1976,
infatti, scomparve la maggior parte della Saetta, un poderoso pinnacolo che si alzava per circa quattrocento metri sopra il Ghiacciaio Occidentale del Sorapis, in parte addossato alla parete nord-ovest della cima più elevata del massiccio.
Il torrione, che si notava in tutta la sua originalità - ad
esempio - dalla Sella di Punta Nera (dalla quale oggi è abbastanza evidente il moncone rimasto), era stato salito per la prima volta sette anni prima, il 18 settembre 1969, da tre ampezzani, Franz e Armando Dallago e Paolo
Michielli.
Per scalare la Saetta, i giovani impiegarono dodici ore e dovettero bivaccare su una spalla a cinquanta metri dalla cima prima di affrontare la lunga via di discesa: le
difficoltà riscontrate raggiunsero il massimo grado previsto allora nell'arrampicata, e richiesero l’uso di oltre cinquanta chiodi.
I tre furono i primi ed anche gli unici salitori
della guglia. Pare, infatti, che nel poco tempo seguito alla complicata avventura, nessun altro si fosse più spinto su di essa, finché le scosse del 6 maggio e dell'11 settembre di quattro decenni fa la rasero quasi al suolo.
Oltre ad altri fatti luttuosi, per la geomorfologia della conca ampezzana quella fu una conseguenza pesante di
uno dei sismi più distruttivi della nostra storia recente.
Franz, Armando (che mi ha parlato più volte della Saetta) e Paolo, ottimi esploratori delle montagne di Cortina, iscrissero quindi nel loro "palmarès" una vetta e una via di cui furono gli unici visitatori: oggi la Saetta rimane un documento storico, il ricordo di una salita forse fra le più suggestive e dure della loro carriera.
Incredibilmente poi, quasi un trentennio dopo, per Michielli la storia si è rinnovata: nella primavera del 2004, infatti, per ragioni del
tutto naturali è crollata la Trephor, la più piccola ma senza dubbio la più severa delle Torri d'Averau.
Su quel campaniletto alto cinquanta metri proprio Paolo, con A. Zanier, alla fine d'agosto del 1967
aveva tracciato, in cinque ore e chiodando molto, una via di sesto grado superiore che oggi non c’è più.
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