Il 12 agosto è scomparsa Laura Constantini «Ghèa», anima da quasi sei lustri con i familiari del rifugio Biella, che sorge a quota 2327 m. sull’Alpe di Fosses (Gruppo della Croda Rossa), all'estremo limite della conca ampezzana e verso le valli Pusteria e Badia.Laura, grande lavoratrice, con il consorte Guido Salton - valente artigiano, giunto a Cortina da Cison di Valmarino nei primi anni '70 e divenuto prima guida alpina e poi rifugista – dal 1992 ha gestito con solerzia e competenza la capanna ai piedi della Croda del Béco, sorta nel 1907 per volontà della Sektion Eger del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Il rifugio, sopravvissuto a due guerre, si presenta ancora oggi quasi intatto nelle forme antiche: un massiccio edificio in pietra, autentico ricovero alpino ben inserito nell’accidentato e lunare altopiano di Fosses.
Il rifugio Biella, dalla Croda del Bèco (foto E.M.) Succeduti alla famiglia Hans Brunner di Villabassa nella gestione del rifugio, che si raggiunge a piedi con lunghe camminate da Cortina, Braies o S. Vigilio di Marebbe, Laura e la famiglia hanno saputo valorizzare al meglio il Biella, di proprietà demaniale ma affidato dal 1947 al Cai Treviso, rinnovandolo, fornendolo degli agi opportuni e custodendolo con passione ed amore per la montagna.Nel cuore di un'estate già difficile, Laura Constantini è «scesa a valle». Della sua dinamica presenza, della sua cucina e dei dolci che molti ricordano, resterà di certo una traccia indelebile lassù, ai piedi della Croda del Béco, dove ha passato un trentennio ospitando migliaia di alpinisti e di escursionisti, sempre con un sorriso.
Le mie montagne, con la loro storia e le vicende di chi le ha vissute e amate e oggi le conserva nei pensieri: anzitutto le montagne ampezzane, ma qualche volta anche altre. Berg Heil!
16 ago 2020
Laura Constantini, anima del rifugio Biella
10 ago 2020
101 anni dello spigolo più lungo d'Ampezzo
Un secolo fa, anche a Cortina d'Ampezzo gli appassionati di montagna avevano altro da pensare, che non “andare in croda”.
C'erano baracche, trincee, camminamenti da sistemare, salme da recuperare, e aggirandosi fra le montagne era normale imbattersi in gallerie franate, ordigni inesplosi, reticolati rugginosi e chissà che altro.
Più che gli scalatori, in quegli anni fra le crode si aggiravano i "recuperanti", alla ricerca di legno, piombo, rame ed altri materiali per arrotondare le misere condizioni di anni disgraziati. Eppure c'era anche chi, più fortunato, ricominciava a mettere le mani sulla dolomia.
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La Punta Nera col suo spigolo, dal vecchio confine |
Il giovane fotografo Fritz Terschak,che dal 1910 scalava su buone difficoltà ed era segretario della Sektion Ampezzo dell'Alpenverein, e Isidoro Siorpaes, un valligiano che aveva dimostrato buone doti di arrampicatore, il 10 agosto 1919 decisero di tentare insieme l'interminabile spigolo sud della Punta Nera del Sorapis, che scende per oltre un chilometro con quinte rocciose, mughi e detriti dai 2847 m. della cima fino al piede della parete, raggiungibile per ghiaioni dal confine appena dismesso fra il Tirolo e l'Italia.
La salita richiese sette ore di fatica, su difficoltà medie: non passò di certo alla storia come un'impresa memorabile, ma fu il primo tentativo di riprendere la familiarità con le montagne, dopo un lustro in cui le Dolomiti avevano visto solo assalti all'arma bianca, cannonate, bombe, morti, feriti e distruzione.
In un certo senso, il 10 agosto di 101 anni fa Fritz e "Doro Pear" fecero la pace con le crode ampezzane martoriate dall'immane sciagura.
Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria
Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...

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