Un secolo fa, anche a Cortina d'Ampezzo gli appassionati di montagna avevano altro da pensare, che non “andare in croda”.
C'erano baracche, trincee, camminamenti da sistemare, salme da recuperare, e aggirandosi fra le montagne era normale imbattersi in gallerie franate, ordigni inesplosi, reticolati rugginosi e chissà che altro.
Più che gli scalatori, in quegli anni fra le crode si aggiravano i "recuperanti", alla ricerca di legno, piombo, rame ed altri materiali per arrotondare le misere condizioni di anni disgraziati. Eppure c'era anche chi, più fortunato, ricominciava a mettere le mani sulla dolomia.
La Punta Nera col suo spigolo, dal vecchio confine |
Il giovane fotografo Fritz Terschak,che dal 1910 scalava su buone difficoltà ed era segretario della Sektion Ampezzo dell'Alpenverein, e Isidoro Siorpaes, un valligiano che aveva dimostrato buone doti di arrampicatore, il 10 agosto 1919 decisero di tentare insieme l'interminabile spigolo sud della Punta Nera del Sorapis, che scende per oltre un chilometro con quinte rocciose, mughi e detriti dai 2847 m. della cima fino al piede della parete, raggiungibile per ghiaioni dal confine appena dismesso fra il Tirolo e l'Italia.
La salita richiese sette ore di fatica, su difficoltà medie: non passò di certo alla storia come un'impresa memorabile, ma fu il primo tentativo di riprendere la familiarità con le montagne, dopo un lustro in cui le Dolomiti avevano visto solo assalti all'arma bianca, cannonate, bombe, morti, feriti e distruzione.
In un certo senso, il 10 agosto di 101 anni fa Fritz e "Doro Pear" fecero la pace con le crode ampezzane martoriate dall'immane sciagura.
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