L’alpinismo è un concetto definito; “la pratica di scalare le montagne e la tecnica che a ciò si richiede”. Giova però dividerlo in due categorie: l’alpinismo della necessità (la vita del montanaro, antica come le montagne) e l’alpinismo della volontà (il turismo alpino propriamente detto, che nelle Dolomiti ha 150 anni). Tutti gli abitanti delle montagne sono alpinisti, da sempre. Lo erano sicuramente i contadini, costretti a dissodare, arare e falciare fazzoletti di terra per ricavarne magri raccolti, in luoghi impervi, erti, pericolosi. La storia è ricca di “martiri” di questa vita: nell’800 una donna ampezzana precipitò dalle ripide Pales de Perosego durante la fienagione. Alpinisti erano i boscaioli, impegnati nel duro lavoro in situazioni atletiche, anche se limitate alla cintura mediana della valle: oltre i 2000 m, infatti, gli alberi che offrono buon legno si fanno rari e salire non serve. Erano alpinisti i pastori, che per sfruttare al massimo il territorio per l’allevamento spingevano i loro armenti su pendii prativi, cenge erbose isolate, raggiungibili con manovre spericolate. Gli alpinisti per eccellenza furono i cacciatori e i bracconieri, sempre spinti dalla necessità di sopravvivenza. Per secoli, costoro si avventurarono su cenge, pareti e cime alla ricerca del camoscio o del gallo cedrone, da portare in tavola o esibire come trofeo d’arditezza e di coraggio. I cacciatori, più degli altri, affinarono la tecnica alpinistica, sviluppando in modo proverbiale il senso dell’equilibrio, il fiuto nella ricerca dei passaggi, l’abilità nel superarli con attrezzi primitivi, la furbizia nel sorprendere gli animali, l’infallibilità nel colpirli (a Cortina un cacciatore ampezzano, poi divenuto guida, in vita sparò forse 200 colpi di schioppo, ma ad ognuno corrispose un camoscio, che rallegrò la magra e monotona dieta familiare, consentendo a lui di vivere fino ad 82 anni). Alpinisti furono i topografi, mandati dagli eserciti a misurare l’altezza delle cime, porre punti trigonometrici sulle vette, riordinare la toponomastica spesso confusa delle catene montuose. E’ nota la storia della Rocchetta di Campolongo, che i topografi scalarono già nel 1779, se non prima, per fissare uno dei confini tra il Tirolo e l’Italia. Alpinisti, infine, furono i guardaboschi e i guardacaccia, instancabili camminatori e perlustratori del perimetro boschivo della valle, ma anche di numerose cime. E’ principalmente merito loro, insieme ai cacciatori, se l’alpinismo nacque, si sviluppò ed ebbe fortuna. Mancano all’appello i raccoglitori di erbe alpine e prodotti del bosco, portato di un’epoca abbastanza recente e di un ritorno alla natura. Nell’antichità si usavano più di oggi le erbe e le bacche, meno i funghi: nei vocabolari dialettali, infatti, i termini botanici e micologici non hanno una vasta messe di corrispondenze, ma sono perlopiù generici.
Le mie montagne, con la loro storia e le vicende di chi le ha vissute e amate e oggi le conserva nei pensieri: anzitutto le montagne ampezzane, ma qualche volta anche altre. Berg Heil!
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