Massiccia, seppure poco aggraziata elevazione del cosiddetto "ramo ampezzano" del Sorapis, inferiore per quota solo alla prossima, più nota Punta Nera, la Zesta (un tempo detta anche Lacedel, 2768 m) non appartiene al Gotha alpinistico dolomitico: secondo P. Salvini, ad esempio, nella calda estate del 2003 fu salita soltanto sette volte.
Nonostante la ridotta affezione a questa elevazione, che incombe sull'Alpe di Tardeiba con una singolare parete a canne d'organo, e nonostante la dolomia friabile e poco invitante che la costituisce, la Zesta potrebbe meritare appena un po' più di considerazione per alcuni motivi, che sono poi i soliti: la via normale, non proprio elementare, è comunque divertente e di soddisfazione; la visuale dalla cima soprattutto verso il Sorapis è pregevole; il senso della montagna, dato l'isolamento della vetta, è altissimo.
Zesta e Lago del Sorapis col sottoscritto, dalla normale della Punta Nera (foto M.G., 26/7/2008) |
Zesta, dall'Alpe di Tardeiba, settembre 2003 |
52 anni dopo, gli amici Mara e Ivano, che si trovano a loro agio nelle Dolomiti meno "consumate", lasciarono in vetta un barattolo con un quaderno, che penso faccia fatica a riempirsi di firme, anche se poco tempo fa la cima fu scelta addirittura per una gita sociale da una Sezione cadorina del CAI.
Salitovi da solo a fine luglio 1995, scoprii con piacere il nuovo libro di vetta e una bella notizia. Il 5 gennaio di quell'anno, quindi poco meno di 18 anni orsono, la neo-guida Ario Sciolari aveva compiuto la probabile prima invernale solitaria della Zesta.
Di certo quel fatterello non fece e non fa notizia, ma a mio giudizio aggiunse un piccolo, bell'inciso alle scarne vicende di questa strana montagna.
Di certo quel fatterello non fece e non fa notizia, ma a mio giudizio aggiunse un piccolo, bell'inciso alle scarne vicende di questa strana montagna.
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