Camminando in piazza sotto il diluvio in un pomeriggio della scorsa estate, riflettevo su quante volte ci capita di imbatterci, sopportare, uscire in concreto indenne da un temporale di grossa portata, mentre ci troviamo sulle montagne.
Sotto il temporale, scendendo dalla normale del Becco di Mezzodì (luglio 1980) |
Ora a me non succede quasi più, e se prendiamo un po’ d'acqua, capita di solito in situazioni abbastanza sicure, perché non salgo più pareti impegnative e, prima di partire, ci affidiamo alle previsioni. In gioventù, però, ho ricordi di diversi momenti abbastanza impegnativi.
Ne scelgo quattro, paradigmatici.
Due temporali di discreto calibro colsero me e gli amici, guarda caso, entrambe le volte in discesa dalla Cima Grande di Lavaredo.
Due temporali di discreto calibro colsero me e gli amici, guarda caso, entrambe le volte in discesa dalla Cima Grande di Lavaredo.
Nel 1985, lungo la via normale levigata da oltre cent'anni di scarponi, eravamo in tanti, tutti sorpresi dal maltempo scatenatosi violento: scendemmo lenti, le corde si attorcigliavano, eravamo poco vestiti, faceva freddo, il nervosismo lievitava e una volta giù … liberatoria fu una memorabile bevuta.
Undici anni dopo eravamo in tre, con le corde smuovemmo un sacco di pietre ma senza ferire nessuno, arrivammo a Misurina con due millimetri di pelle asciutta e per consolarci dello scampato pericolo ci dovemmo far bastare un tè in un bar poco ospitale: giurai allora che, per la prossima salita della Grande, avrei aspettato un lungo periodo di siccità!
Per non parlare della complicata discesa dal Gran Campanile del Murfreid in Val Gardena, dove alla pioggia seguì una fitta nevicata (era il 10 di agosto!), facemmo un po' di casino con le corde, ci disorientammo al buio su terreno sconosciuto e alla fine dovettero venire su a prenderci!
E infine la meno antica, roba del '96: un lungo diluvio sulla "via dei cacciatori" della Cima Piatta Alta in Pusteria; fu un calvario rifare in discesa 3/4 dell'itinerario e divallare a rotta di collo al Rifugio Tre Scarperi, dove maternamente ci "prestarono" la caldaia per asciugare noi e i vestiti. Anche qui, un tè bollente concluse una bella avventura.
Ci sono state comunque tante altre occasioni in cui, dall'abbraccio con pareti o sentieri, siamo usciti fradici, tremebondi, scossi, anche un po’ nauseati, ma pronti a ripartire al primo balenare di un raggio di sole!
C'è da dire che oggi siamo preparatissimi e informatissimi: capi supertecnici che ci proteggono e che si asciugano in un batter d'occhio, previsioni dettagliate che raramente sulla breve distanza risultano meno che precise... Eppure rischiamo di perderci invece che di guadagnarci: togliendo ancora l'ennesimo fattore di imprevedibilità. Avremo alla fine un escursionismo omologato, certificato, già tutto predisposto, banale?
RispondiEliminaDue anni fa, pessime previsioni alla mano, partii ugualmente dalla Grande Città per andare in Montagna: io e mio figlio, piccolo. Ci gustammo un'intensa e piacevolissima giornata pur quasi sempre sotto un'insistente e fastidiosa pioggia. E non è l'unica pioggia presa in montagna che ricordo forse con un pizzico di fastidio ma in fondo con un certo piacere.