Dalla
dorsale che la Croda Rossa d'Ampezzo protende verso E, emerge una cima tanto massiccia e ben visibile già da Cimabanche, quanto poco nota al grande pubblico.
Dal ramo che essa si allunga verso il valico, scende un costone in alto roccioso e in basso coperto di alberi e mughi, che limita sulla destra
orografica la Val dei Chenòpe, al confine tra Cortina e Dobbiaco.
Il costone si chiama Costa del Pin perché gli alberi che lo ricoprono
sono perlopiù pini silvestri; la cima sovrastante, salita per la
prima volta da austriaci poco più di un secolo fa, ha lo stesso nome,
Ponta del Pin, e raggiunge la quota di 2682 m.
Si tratta di un angolo ben conservato dei nostri monti,
soprattutto perché privo di sentieri d'accesso. Lungo la dorsale della Costa
del Pin, si sviluppa l'attuale limite confinario fra il Veneto
e l'Alto Adige, del quale - in mezzo a mughi inestricabili – si nascondono alcuni capisaldi.
Sulla Punta invece si sale dall'altipiano di Pratopiazza, con un
minimo impegno alpinistico.
Nell'agosto 1990, quando calcai per la prima volta la sommità della Punta del Pin, dalla quale si gode una insolita visuale sulla Croda Rossa, ero preparato.
Nell'agosto 1990, quando calcai per la prima volta la sommità della Punta del Pin, dalla quale si gode una insolita visuale sulla Croda Rossa, ero preparato.
La Ponta del Pin, da Pratopiazza, 30/8/13 (photo: courtesy of idieffe) |
Mi aveva
incuriosito e guidato la laconica relazione della salita che Antonio Berti inserì nella sua guida delle Dolomiti Orientali, e mi era occorso di parlarne col figlio Camillo, profondo conoscitore
delle nostre montagne, che mi confermò di avere salito la Punta col padre quando aveva forse una decina d'anni.
Dopo il 1990 vi sono risalito un'altra mezza dozzina di volte, ripercorrendo dimenticate tracce di un alpinismo
antico, privo di vernici e cartelli, in un ambiente magnifico e che non si può dimenticare.
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