Da
qualche anno, anche a Cortina va affermandosi una tendenza: quella di usare, per definire le “racchette da neve”, la parola
ciàspole, anziché quella schietta ampezzana ciàšpes
(plurale di ciàšpa).
Lo si può osservare sia nei mass media (pubblicazioni circolanti e siti web, di
montagna e non, che reclamizzano cosa si può fare d'inverno a
Cortina), sia anche nella parlata quotidiana.
Stiamo
forse scivolando nell'ennesima forma di colonialismo culturale?
Blando ma accettato, magari anche favorito in nome del turismo.
Nulla di peccaminoso, ben s'intende, se solo la parola fosse italiana. Ma essa viene dal Trentino o giù di lì: nel Basso Agordino e in
Val di Zoldo si dice càspe, nell'Alto Agordino fino a S.
Tomaso e nella Valle del Biois ciàspe; in Val Badia e
Oltrechiusa ciàspes, in Val di Fassa cèspes, in
Comelico ciàspdi, in Friuli ciàspis, giàspis.
Per
carità: non è certamente un male usare ciàspole se lo si
desidera, se non altro perché lingue e dialetti cambiano di continuo, e sono sempre interessati da interferenze e
contaminazioni reciproche. Solo che, così facendo, andrà a finire
che, proprio in quanto “spinta” dall'esterno, la parola estranea
si imporrà nel parlare d'ogni giorno come se fosse tipica
dell'italiano; e magari nei vocabolari di italiano ci entrerà
davvero.
Finché
italiana non è, perché dunque usare una parola di altri, mentre
nella nostra parlata c'è quella giusta? Ciàšpes
è un termine ladino (i suoi tratti distintivi sono la
palatalizzazione della c e il plurale femminile in -s), "cadorino" o "sellano" che sia.
Se
proprio si sente il bisogno di vendere, usare, reclamizzare le
ciàspole, le si chiami pure così, anche a Cortina. Ma si
sappia che non è una parola locale, appartiene ad un'altra zona e
cultura; la parola ampezzana per indicare il medesimo
strumento (quello che gli avi usavano normalmente per muoversi sulla neve)
esiste, ed è ciàšpes.
Hai perfettamente ragione.
RispondiEliminaTi riporto la parte iniziale di un mio articolo che avevo intenzione di scrivere per la rivista del CAI ligure, ma che non ho mai terminato. Il titolo corrispondeva ad una frase pronunciata da un amico gardenese, ma che temo, dal punto di vista del ladino, sia scorretta "Su par l Busc da la Gialina cun la ciasps". Ecco dunque quello che avevo scritto:
"Ciasps, ciaspes, racchette da neve, ma ciaspole proprio no; mi suona stonato, mi pare irriverente, una brutta traduzione dal ladino all’italiano. Avevo chiesto delle “ciaspes” quando ne avevo acquistato il mio primo paio, quasi cinquant'anni fa: erano degli strani aggeggi a forma di fagiolo, allora, costruite all’antica con legno e corda."
La brutta tradizione di italianizzare a vanvera toponimi locali ha antiche tradizioni. Basti citare il caso, particolarmente significativo per me che sono lombardo di origine, del Monte Gölem (dal latino culmen) diventato Monte Guglielmo.
Il recupero degli antichi termini sembra ora abbastanza diffuso; speriamo che si estenda dai toponimi anche agli oggetti d'uso "quotidiano".
Concordo pienamente; basta "ciaspole"e, soprattutto, ciaspolate.
Ciao
Saverio