15 anni fa, nel settembre 2000, si spegneva all’ospedale di Pieve
di Cadore Agostino Girardi, un uomo che fece e lasciò molte cose alla cultura ampezzana. Nato a Pecol l’1 aprile 1929, era il primogenito di Guido de Jesuè, prozio di chi scrive per
parte materna, e di Berta Pompanin de
Radéschi.
Dopo aver frequentato il ginnasio nel Seminario Vescovile "Vinzentinum" a Bressanone, iniziò gli studi di medicina a Padova, che però
interruppe, e dal 1963 al 1973 lavorò presso la Cassa Rurale ed
Artigiana di Cortina.
Dalla
fondazione - avvenuta mezzo secolo fa - di "Due
Soldi ", mensile della banca, che diresse fino alla chiusura e in cui (grazie a
ricerche capillari e alla collaborazione di buone penne) raccolse cronache, curiosità, documenti e fece conoscere fatti e persone che
altrimenti rischiavano l’oblio, Girardi s'interessò di cultura
locale fino alla scomparsa, analizzando alla sua maniera, lucida e
profonda ma naif e spesso poco affidabile, le
pieghe nascoste dell'amata Cortina, con ingegno,
passione e versatilità.
Ne
sono prova, oltre a contributi sparsi, gli 8 fascicoli di "Cemódo
che se diš par anpezan", pubblicati tra il 1989 e il 1994.
In essi, servendosi di una profonda cultura e una vivace memoria, Girardi raccolse e commentò una moltitudine di locuzioni idiomatiche, detti e proverbi, arricchendoli con ironia e bello stile, affinato negli anni.
Chi
scrive gli fu amico, collaborò con lui a iniziative culturali e lo seguì fino alla fine. Ricordo spesso le nostre chiacchierate e le sue divagazioni sui temi più svariati; i consigli che dispensava e le critiche al piccolo
mondo paesano, osservato con distacco, forse con delusione;
l’entusiasmo per la ricerca, che ne avrebbe sicuramente fatto un
intellettuale di vaglia, non solo per Cortina.
Agostino e la piccola Maria Pia Ghedina, al lavoro sulla Mont d'Andrac, estate 1986 (foto G. Ghedina) |
15 anni dopo la sua morte, sarebbe bello almeno rivalutare i suoi 8 fascicoli, scritti lentamente e con meticolosità, a mano con la stilografica, e usciti in
copia fotostatica come "quaderni" dalla copertina color
tabacco. Modesti forse all'aspetto, ma invero molto ricchi, per la miniera di
notizie che contenevano e l’acuto e garbato quadro dell’ampezzanità
d’un tempo che seppero comporre.
Prima
che tutto si disperda nel turbinare della vita, rilancio un pensiero che faccio da tempo: omaggiare in qualche maniera questo ricercatore. "Tino
de Jesuè"
può sicuramente accompagnarsi a Bruno Apollonio, Angelo Majoni, Illuminato de Zanna, Rodolfo Girardi, Rinaldo Zardini, Giuseppe Richebuono
e a tanti altri che hanno onorato Cortina, studiando e
valorizzando la sua cultura col lavoro di una vita. Non è giusto che siano dimenticati.
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