Nel corso della mia piccola storia d’alpinista mi è occorso di salire, sotto la guida dell'amico Enrico, anche il “campanile più bello del mondo”, quello di Val Montanaia.
La salita risale all’11 settembre 1981: partiti il
giorno prima da Trieste - dove frequentavamo l’Università - muniti di pane, prosciutto e una bottiglia d’aranciata, parcheggiammo la 127 bordeaux alla fine della Val Cimoliana, poco sotto il Rifugio
Pordenone.
Le nostre finanze non ci autorizzavano a
soggiornare al rifugio, e così ci limitammo a visitarlo la sera e berci qualcosa in compagnia. Non c’era quasi nessuno. In un angolo
cenavano due alpinisti, che si presentarono come Vincenzo
Altamura di Milano e Stanislav Gilić di Fiume, instancabili esploratori delle
Dolomiti d’Oltrepiave, che pochi giorni prima avevano aperto una lunga via sulla Croda Cimoliana.
Dormimmo in macchina, stretti e male, infastiditi per gran parte della notte dal gracidio
di rane e rospi in una pozza vicina: così, alle cinque eravamo già
in cammino lungo l’erto sentiero che porta alla base del Campanile.
Sulla celeberrima traversata (foto E.L.) |
La salita fu tranquilla, una lunghezza a testa e senza particolari patemi, a parte il volo della mia giacca a vento dalla seconda
cordata, che al ritorno m'impose di risalire un bel
pezzo in libera, per recuperarla.
La traversata, di cui è nota l'allarmante descrizione della guida Berti, non sembrò un granché: più dura la Fessura Cozzi, levigata da ottant'anni di strusciamenti, e
scomodo il Camino Glanvell, dove ricordo il mio povero zaino, che dovevo tirarmi dietro e grattava dappertutto.
In cima, con sorpresa, trovammo un
sacchetto da pane con la firma di Mauro Corona, salito poco prima -
mi sembra - per l’82a volta; mancava però la celebre campana, collocata lassù da diciannove alpinisti veneti nel 1926 e che ogni “audace” dovrebbe far risuonare. Proprio quell’estate era stata smontata e portata a Pordenone, per essere riparata!
L'aerea calata sugli Strapiombi Nord ci divertì assai:
nel tardo pomeriggio eravamo già a Cortina, pronti a raccontare agli amici la nostra ascensione ad una delle vette più note e idealizzate dell’arco dolomitico.
Una via antica in un ambiente superbo. Si dovrebbe trasportare la Lucy al posto dell'ex bivacco dall'Oglio per avere qualcosa di analogo.
RispondiEliminaHo anche rischiato di tornare a valle con i connotati cambiati, dopo la calata dagli strapiombi tirai la corda stando ad una decina di metri dalla parete, la corda trascinò alcuni sassi, il più grosso rimbalzò parallelo al suolo e passò fischiando a mezzo metro dalla mia faccia. Più che il casco sarebbe servita una maschera da hokey, oppure avrei dovuto tirare le corde stando sotto lo strapiombo!
Ciao
Bellissimo il paragone della Torre Lusy in Val Montejela. Io aggiungerei anche che basterebbe spostare un po' più in alto, sul crinale di Val Popena Alta, la Guglia De Amicis che là sotto, incassata com'è, si fa fatica a notare dal basso.
EliminaNon ricordo di cadute di sassi sulla calata Piaz, ma ricordo invece un mazzo di cordini e fettucce annodati nel chiodone di partenza che facevano venire i brividi solo a guardarli (e se ce ne fossero stati di nuovi, magari qualcuno sarebbe sparito nei nostri zaini...).
Ciao