Lungo la frequentata strada che dal grande tornante di Podestagno sale per l'ombrosa Val di Rudo e dopo tre chilometri giunge all'alpeggio di Ra Stua, a circa 1500 m di quota c'è un piazzale ghiaioso, un tempo usato come cava.
Da qui una stradina forestale scende all'Aga de Cianpo de Crosc, scavalca il rio che viene dalle Ruoibes de Inze e in breve porta al pascolo e al Cason de Antruiles; a sinistra, poco a valle del bivio, c'è un angolo particolare.
In questo luogo, d'interesse più che altro toponomastico, un antichissimo scoscendimento del costone che sostiene l'altopiano di Son Pòusses, ha lasciato un enorme macigno: il Sas Scendù, ossia il "sasso scisso, tagliato in due parti nel senso della lunghezza".
Il pietrone, frantumatosi nell'urto col terreno in due porzioni, si è adagiato nella vegetazione ed è visibile, anche se magari risulta un po' anonimo, a pochi passi dalla strada. Chissà se offre storie o aneddoti di carattere bellico, silvopastorale, venatorio; ma è là alla vista di tutti, e il passante un po' curioso non può non notarlo, anche transitando veloce in auto.
Spinto dall'interesse per le bizzarrie naturali, scendendo un giorno da Ra Stua mi fermai a dare un occhio alla fessurazione tra i blocchi, notando piccoli ma inequivocabili resti di opere umane in cemento.
Il primo pensiero fu che – data l'importanza della strada per il fronte del 1915-17 - nel Sas Scendù l'Esercito Italiano avesse intravisto una certa utilità, come apprestamento di difesa, garitta o osservatorio.
Allora la cosa finì lì, ma andai comunque a cercare qualche riferimento sui testi disponibili (de Zanna-Berti, Filippi, Russo). Oggi vado a Ra Stua meno spesso di un tempo: non ho mai più curiosato tra i due blocchi e non so se ultimamente il cemento che sembrava unirli sia ancora presente. Penso comunque che, più che di un'emergenza archeologica, per i massi si possa senza dubbio parlare di una testimonianza storica ormai ultra centenaria.
Il Sas Scendù in veste invernale (foto E.M., gennaio 2009) |
Il Sas merita uno sguardo passandoci vicino magari d'inverno, quando sulla strada di Ra Stua si circola solo lentamente, a piedi, con le ciaspes o gli sci. Ha poco di succulento su cui congetturare, se non una domanda: quanti sasc scendude di quella consistenza ci saranno sul territorio ampezzano? Uno me l'ha segnalato da poco l'amico Franco: è un masso di circa 10 m per 10 e alto tre, posto 200 m a destra del Rifugio Dibona. Una crepa lo incide nel mezzo e - al dire di Franco, che ha ricordi più "vecchi" dei miei - sulla sommità si è visto spesso vigilare una marmotta. Per arrivarci si scavalcano delle ghiaie, ma tutto intorno c'è prato ed erba per i roditori, che è quasi un lusso scorgere da breve distanza.
Soltanto due sasc comunque, salvo errori ed omissioni, possiedono un toponimo storicizzato: uno di essi si trova nel bosco alle spalle di Ronco, ed è detto Sas de ra (sete) scendedùres (Sasso delle (sette) spaccature). Un secolo fa il macigno fu in parte demolito, ricavandone pietrame per ricostruire il ponte sul Boite (il Ponte Corona) lungo la Strada delle Dolomiti, fatto saltare nel 1917. Logicamente, la genesi del morfotoponimo, per entrambi i massi sarà la stessa.
Chiudo con una considerazione: al di là del valore ambientale e storico dei luoghi, sarebbe un peccato che, impallidendo e banalizzandosi la parlata ampezzana, la ricca toponomastica collegata e nella quale rientrano anche i sasc scendude, un giorno perdesse di significato.
Chiudo con una considerazione: al di là del valore ambientale e storico dei luoghi, sarebbe un peccato che, impallidendo e banalizzandosi la parlata ampezzana, la ricca toponomastica collegata e nella quale rientrano anche i sasc scendude, un giorno perdesse di significato.
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