Del Becco di Mezzodì, una cima di piccole dimensioni ma rilevante per la storia dell’alpinismo, che caratterizza il panorama sulla destra orografica della valle d'Ampezzo, mi piace scrivere.
Per vari motivi: ogni giorno lo scorgo dalle finestre di casa; fu la prima cima dolomitica che scalai, a poco più di sedici anni e con quattro amici inesperti e temerari come me; dopo diverse altre salite, è stata l’ultima ascensione in cordata, a trent’anni dalla prima; più volte ho consultato con piacere il libro posato in vetta dalla Sektion Reichenberg del Club Alpino Tedesco-Austriaco nel 1901 e rimasto lassù sino al 1917 a testimoniare nomi e pensieri curiosi ed interessanti.
Per vari motivi: ogni giorno lo scorgo dalle finestre di casa; fu la prima cima dolomitica che scalai, a poco più di sedici anni e con quattro amici inesperti e temerari come me; dopo diverse altre salite, è stata l’ultima ascensione in cordata, a trent’anni dalla prima; più volte ho consultato con piacere il libro posato in vetta dalla Sektion Reichenberg del Club Alpino Tedesco-Austriaco nel 1901 e rimasto lassù sino al 1917 a testimoniare nomi e pensieri curiosi ed interessanti.
M'incuriosisce anche il nome con cui i nostri antenati indicavano il Becco, e del quale non so il perché: «ra Ziéta», la civetta, forse legato all’omonimo rapace? Al riguardo, nel vocabolario ampezzano, novant'anni fa il medico Angelo Majoni riportava un bel detto meteorologico: «Canche ra Zieta bete su ra bareta, in poco tenpo ra peta», cioè «Quando il Becco si copre di nuvole, in breve tempo grandinerà».
Il Becco di Mezzodì da sud, dal Monte Fertazza (foto E .M.) |
Credo che chi mastica un po’ di storia dei nostri monti, sappia che i primi due uomini a mettere piede sul Becco, il 5 luglio 1872, furono la guida Santo Siorpaes Salvadór con il cliente scozzese William Edward Utterson Kelso; il fatto, che segnò l’avvio della conoscenza delle cime che circondano il Lago di Fedèra, è ricordato dal 30 luglio 1972 con una targa all'ingresso del rifugio Croda da Lago.
Una chicca storica legata al Becco, che ho scoperto da poco, è questa. Per trentasei anni, cioè fino al 19 agosto 1908, quando le guide Bortolo Barbaria Zuchìn e Giuseppe Menardi Berto salirono con i clienti veneti Francesco Berti e Ludovico Miari il camino nord-ovest che fronteggia il rifugio sul versante ampezzano, detto «Camino Barbaria», la scalata del Becco da Cortina - che allora faceva parte dell'Impero austro-ungarico - si poteva fare soltanto espatriando, cioè valicando, anche se per un breve tratto, il confine con il Regno d’Italia posto presso la Forcella Ambrizzola.
La via normale che ancora si percorre, infatti, si svolge tutta sul lato sud-ovest, che ricade nel territorio di San Vito di Cadore.
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