30 mag 2013

Pala Perosego: roccia così così, ambiente super!


Il primo giorno d'autunno del 2000, da solo salii sulla Pala Perosego, l'ultimo piccolo rilievo della cresta che corre parallela alla Val Padeon e conclude la catena del Pomagagnon.
Non immaginavo certamente che il libro di vetta che avevo nello zaino, riposto in una scatola di plastica e collocato sotto i sassi dell'ometto, nelle successive cinque stagioni si sarebbe riempito con le firme di 30 visitatori!
Pensavo che quanto avevo voluto installare su quella cima sconosciuta fosse solo uno sfizio personale, per il piacere un po' autoreferenziale di rileggere un domani il mio nome e quello di pochi altri patiti di sentieri selvaggi.
Non è stato così: sulla Pala Perosego sono saliti ampezzani, italiani e stranieri, e qualcuno anche più volte: di ciò ho avuto ulteriore conferma nel maggio 2007, quando salii a sostituire la scatola e il libro, rovinati da fulmini, vento e piogge.
La cima! (maggio 2005)

Ma faccio un passo indietro: a Ferragosto 2002, scendevo con Iside dalla Punta Erbing, altra bella meta della zona. Sulla Pousa de Zumeles trovammo Paolo che tornava con una famiglia di amici ... proprio dalla Pala Perosego, salita già diverse volte senza mai farne parola, essendo amante di luoghi dove non circola anima viva.
Diamine, la mia stessa passione, anche se spesso, per sfuggire alla folla che brulica nei luoghi più noti d’Ampezzo, sceglievamo cime anche più corpose della Pala! In ogni caso, solo dal 2000 al 2005, almeno trenta persone scelsero di inerpicarsi sui quindici metri di rocce che cingono la vetta della Pala, e percorsero l'impressionante crestina erbosa che termina sulla minuscola vetta, sospesa sulle franose Pale di Zumeles.
Le rocce sommitali (maggio 2007)

Lassù il silenzio è davvero teso: “climbers”, dalle difficili e friabili vie della Pala penso non ne spuntino mai, ed escursionisti dalla mulattiera militare che da Sonforcia corre fra i larici fino a Forcella Zumeles, credevo neppure. Invece, qualcuno aveva persino sfruttato una giornata serena di un inverno avaro di neve, per guadagnare una montagna minore, umile, irrilevante per chi fa incetta di cime alla moda, dove sicuramente non occorre pagare il biglietto e fare la fila.

26 mag 2013

Quota 2014, cima senza nome


Quante saranno le cime senza nome, intorno a Cortina? Boh! Fra esse, alla fine di maggio di vent'anni fa, con Antonio e Roberto ne salii una (rifatta poi qualche anno dopo) che, pur imponendosi con evidenza da Fiames, pare possedere solo la quota altimetrica, 2014.
E' l’elevazione rocciosa coperta di mughi che insieme alla Quota 1933 – dalla quale la divide l'intaglio di Forcella Bassa, che sprofonda verso Fiames con un profondo canale - costituisce il Pezovico, fortificato dagli Italiani durante la 1^ Guerra Mondiale e conservatosi ancora come uno fra i più misteriosi luoghi d'Ampezzo.
Q. 1933, Forc. Bassa, Q. 2014 e Forc. Alta, da Fiames
(photo: courtesy of idieffe, 14/10/2011)


Quota 2014 cade con una parete rocciosa inclinata sulla incisione che la divide dalla prospiciente Quota 1933, mentre scende con un breve pendio di mughi su Forcella Alta, dalla quale la ricordo raggiungibile senza gravi ostacoli. Lassù compimmo una bella traversata, salendo sulla Quota 1933 per l'accesso "normale” da N (di cui avevo trovato notizia in un libro-guida in tedesco sul Pomagagnon-Cristallo), che inizia nei pressi del ponte dell’ex ferrovia sul Felizon e per vaghe tracce di camosci supera la dorsale visibile dall'antistante colle di Podestagno.
Dalla sommità scendemmo poi a Forcella Bassa e guadagnammo la quota 2014 per i delicati resti di un sentiero militare scavato nella parete. Doppiammo Forcella Alta e, intuendo tra le rocce i pochi segni rimasti dell’accesso di guerra italiano che saliva da Fiames, aggirammo il Torrione Scoiattoli.
Per il canalone ai piedi delle Pale delle Pezories, invaso qualche anno fa da una grande frana, ritornammo sull’ex ferrovia, poco a valle del ponte.
Nonostante il dislivello contenuto, ricordo l’esplorazione come psicologicamente impegnativa perché faticosa, non semplice né sempre evidente: si svolge in un ambiente selvaggio e riveste buon valore storico e ambientale, per le testimonianze belliche che s’incontrano.
Quota 2014 e Forcella Alta sono forse i due luoghi meno “ostici” toccati in quelle giornate: essi mi fecero apprezzare in pieno l’unicità della zona e le attrattive di queste cime deserte eppur così ben visibili dal fondovalle.

24 mag 2013

Tofana di Mezzo 1863-2013, inizio della storia alpinistica di Cortina


Quando comunicai a Francesco (soprannominato semplicemente Checco) il desiderio di salire la Tofana, fu subito d’accordo e ci demmo appuntamento per la mattina seguente. Siccome nemmeno lui era mai salito sulla vetta, prendemmo la strada che secondo il suo intuito doveva essere quella giusta, cioè la strada per Falzarego, lasciando a sinistra il Monte Crepa e proseguendo per Pocol, ecc. Dopo circa 1 ora e ¾ da Cortina arrivammo ad una spianata prativa chiamata Cian Zoppè. Qui Checco mi indicò la Tofana e potei rendermi conto con soddisfazione del genere di arrampicata che mi attendeva.
Non fu la vista delle pareti a spaventarmi, ma i ghiaioni che si stendevano alla base delle pareti. Chi ha salito ancora tali ripide e mobili colate di ghiaia può comprendere la mia … gioia! Infatti la salita fu lunga e faticosa, finché arrivammo ad un grande bastione roccioso che divideva in due il ghiaione. e qui Checco mi chiese quale delle Tofane intendevo salire, quella di Rozes, di Mezzo e di Dentro. Non ridere, caro lettore, di questa domanda. la mia intenzione era di arrivare sulla cima più alta, ma ora si prospettava la non piccola difficoltà di sapere quale era delle tre. I rilevamenti del Catasto del Tirolo erano in corso e non ne conoscevo ancora i risultati. Se dal basso non sarebbe stato possibile risolvere il problema, nel punto in cui eravamo lo era ancora meno, per cui, contento in ogni caso della decisione che stavo per prendere, indicai quella di destra: e fortunatamente scelsi giusto.
Prima attraversammo il ramo destro del ghiaione, che era il tratto più ripido e arrivati alla sommità di questo, cioè sulla cresta, ci apparve improvvisamente la visione selvaggia dei precipizi verso Travenanzes. Più avanti le rocce sembravano inaccessibili; ma Checco, con pronta decisione, aggirò in arrampicata un angolo e si presentò davanti a noi la lunga via da percorrere. Attraversammo dapprima su una stretta cengia un breve tratto di parete espostissima, dopo la quale ci trovammo sul ghiacciaio che, come ho accennato prima, si stende in versante Travenanzes fra le due cime della Tofana. Attraversato diagonalmente il ghiacciaio, tornammo in cresta e seguendola, arrivammo senza difficoltà sulla vetta ..." (tratto da "Wanderungen in den Dolomiten", 1877, in italiano "La scoperta delle Dolomiti 1862", di Paul Grohmann).
Chéco da Meleres (1796-1886)
E' la descrizione della prima salita (documentata) alla più alta cima della Tofana, compiuta da Paul Grohmann, accompagnato dall'orologiaio,  cacciatore, patriota e poi guida alpina Francesco Lacedelli "Chéco da Meleres" il 29.8.1863. L’anno seguente la stessa cordata scalerà la Tofana di Rozes, e nel 1865 Grohmann col guardaboschi, poi guida alpina, Angelo Dimai salirà anche quella di Dentro.
Paul Grohmann, nato a Vienna nel 1838, venne in Ampezzo per la prima volta nel 1862, dopo aver fondato insieme a due conterranei l’Österreichische Alpenverein. Affascinato dalle Dolomiti, montagne dalle forme fantastiche, con le sue salite e i suoi scritti contribuì a diffonderne la conoscenza in tutta Europa, attirando i primi turisti. In segno di gratitudine per l’opera svolta, nel 1873 il Comune di Cortina lo nominò  cittadino onorario.
La Tofana di Mezzo (photo: courtesy of Angelo Roilo,
archivio Istituto Ladin de la Dolomites - Borca di Cadore)
Fra poco cadranno i 150 anni della prima salita della Tofana di Mezzo, e per ricordare l'evento, che ha segnato l’inizio della storia alpinistica della valle, a Cortina la sezione Cai ha programmato una giornata rievocativa e di festa in vetta alla Tofana, da quarant'anni ormai aperta anche, e soprattutto ai non alpinisti. 
Chi lo vorrà, potrà cimentarsi nella salita alla cima a piedi dal fondovalle, seguendo la via tracciata da Grohmann e Francesco Lacedelli (2020 m totali di dislivello), o salire più comodamente con la funivia, offerta ai soci Cai a prezzo agevolato. Al rifugio/bar Cima Tofana, a quota 3195 m, sarà preparato un rinfresco, per trascorrere insieme un momento conviviale, e a ricordo della giornata ci sarà per tutti un attestato di partecipazione. Info sul programma su www.caicortina.org

22 mag 2013

Chi fu il primo a salire la Croda del Béco?


Chi fu il primo salitore effettivo della Croda del Béco?
Il “Cu de ra Badessa”, colosso dolomitico che fa da confine della valle d’Ampezzo con la Pusteria (dove viene chiamato Grosser Seekofel) e con la Valle di Marebbe (dove è identificato come Gran Sass dla Porta), fu salito ufficialmente il 15 settembre 1874.
Primo in vetta fu Paul Grohmann, il pioniere austriaco al quale si devono le più importanti tappe della scoperta delle Dolomiti fra il 1863 al 1869, All’epoca trentaseienne, Grohmann era già conscio di dover chiudere la sua stagione alpinistica. Nell'occasione, lo accompagnava un oscuro valligiano, in apparenza marebbano visto il cognome: Vigil Willeit (Vileit nei documenti). 
Dopo l'"ultima" Croda del Bèco,
(photo: courtesy of idieffe, 22/7/2007)
Sembra improbabile che la Croda non fosse stata già salita in epoca  antica, dai pastori ampezzani che alpeggiavano gli ovini nei vicini pascoli di Fosses, da quelli marebbani di Sennes e Fodara o da altri, magari  cacciatori e topografi che bazzicavano quelle zone.
Nell'estate 1878 la Croda aveva già due vie di salita, entrambe d’impegno poco più che escursionistico. Finalmente, nell'agosto 1892, Viktor Wolf Von Glanvell e compagni percorrevano la parete nord, che fa da sfondo al Lago di Braies e, se fosse soltanto un po’ più verticale, potrebbe stare alla pari con pareti dolomitiche di maggior fama.
È più di un chilometro d’altezza,  non tutto roccioso, giacché ci sono anche ghiaie e mughi, e ha più di una via: si dice  comunque che ci siano ancora rocciatori appassionati che le salgono.
Certo, da qualunque lato si giunga in vetta, nonostante l'affollamento estivo il panorama che svela la Croda è uno fra i migliori delle Dolomiti.

18 mag 2013

Sul Col Rosà da nord


25457 ettari di superficie per un comune sono molti ed, infatti, quello di Cortina è uno fra i più estesi d’Italia. Il fatto poi di essere un comune montuoso, significa che le montagne che lo circondano sono molte. Essendo molte, per esplorarle tutte non basta una vita, ed è la constatazione che viene spontanea, pensando alle cime, cenge, forcelle, sentieri, valloni che caratterizzano il territorio d’Ampezzo.
Penso spesso alle esplorazioni che mi mancherebbero, accatastate in un’apposita “directory” del cervello, sperando di poterle chissà quando tirar fuori e completare. Un esempio: spesso mio padre accennava al fatto di aver percorso, non senza difficoltà, l’accesso al Col Rosà dalla Val di Fanes, sul versante nord, ben in vista dalla strada che da Pian de Loa risale la valle.
Quel percorso, appena punteggiato su vecchie carte topografiche, dovrebbe essere stato usato in guerra, giacché il Col Rosà si trovava proprio sul fronte, ma non ho mai trovato notizie su un’eventuale possibilità di transito da quel lato, che - seppure piuttosto ostico - a prima vista non sembra impossibile.
Col Rosà da nord, 23/9/2011
Fasce di roccia si alternano a mughete, ma penso che, zigzagando fra le une e le altre, in qualche modo la facciata sia percorribile. Quella possibilità mi ha sempre attratto: ne è a conoscenza un amico, appassionato come me di stranezze escursionistiche, ma intanto il tempo passa e non ci siamo mai decisi.
Ovviamente, se mai si provasse, lo si farebbe dal basso, per non scendere dall'alto e poi essere magari obbligati a risalire, perché non si passa. Il misterioso versante nord del Col Rosà, sotto l'ampio cengione barancioso dove sbocca la ferrata, calamita lo sguardo ogni volta che passo ai suoi piedi. Osservandolo da Progoito, mi sono visto in mezzo a quella “barancera”, armeggiando in uno dei tanti angoli reconditi di Cortina, dove di sicuro nemmeno in agosto nessuno ti contende il passo.

15 mag 2013

Per i 90 anni di Giuseppe Richebuono

Questo tema non è alpinistico, ma riguarda un "patrimonio" di Cortina, il professor Giuseppe Richebuono.
Conosciuto da molti  amichevolmente come “Bepe”, non ha certo bisogno di presentazione. Per almeno mezzo secolo ha studiato, con metodo e competenza, le millenarie vicende della valle d'Ampezzo,  compulsando documenti antichi, scrivendo articoli e opuscoli, tenendo conferenze e riunendo tutto nella monumentale “Storia d’Ampezzo”, pubblicata in quattro edizioni, l’ultima delle quali dalla Cooperativa di Cortina nel 2008. 
In occasione del novantesimo compleanno, caduto nei giorni scorsi, il sottoscritto (spero a nome di tanti paesani e di coloro che tramite lui hanno conosciuto ed amato la storia del paese), ritiene giusto rivolgergli un fervido augurio di “Buon 90°!” con l’auspicio, parafrasando il contenuto di un biglietto che mi ha scritto di recente, “… de podé ancora fei algo delvès par i anpezane.” ("... di poter ancora fare qualcosa di buono per gli ampezzani."). Auguri, caro Bepe!

9 mag 2013

Dov'è il Sas del Rana?

Ho notato con piacere che i post che contengono proposte di luoghi e itinerari poco noti, condite magari con briciole di storia e di toponomastica, piacciono particolarmente, per cui insisto presentando un sito ampezzano che si vede bene dalla "vasca" di Corso Italia, ma ben pochi conoscono e sicuramente nessuno frequenta: il Sas del Rana, ai piedi del Pomagagnon.
Sulle pendici meridionali della Punta Erbing, chi guarda da Cortina può notare un roccione che emerge dalla vegetazione con un dirupo giallastro, ricoperto da conifere nella parte superiore.
Quel roccione porta l'oronimo, quantomeno originale, di Sas del Rana, che non abbisogna di traduzioni. Secondo una fonte autorevole come Illuminato De Zanna - Camillo Berti, "Monti boschi e pascoli ampezzani nei nomi originali" (Bologna, 1983), ripresa anche da altri, l'oronimo si legherebbe al soprannome di una famiglia del sottostante villaggio di Chiave, o forse di un unico individuo, magro e scattante come l’anfibio di cui portava il nome.
Il collegamento del masso alla famiglia però non è immediato, e deriva abbastanza sicuramente da motivi silvopastorali. Alla base del Sas transita la piacevole strada boschiva che collega Fiames con Mietres e Larieto, ma la salita sul Sas - ammesso che si abbiano motivi validi per compierla, e forse quella domenica d'estate di qualche anno fa Iside e io li avevamo, ma non la completammo ugualmente - non pare di gran valore escursionistico o alpinistico.
Il Sas del Rana: in alto a sinistra Croda dei Cestelis,
a destra Punta Erbing (photo: courtesy of idieffe, 9/5/2013)
Anche la breve parete che guarda Cortina, ad un esame sommario, non attrae i patiti di roccia: l’interesse che riveste il Sas è più che altro oronomastico, magari per cercare di individuare antiche connessioni (un'idea che azzardo ...) di carattere esoterico, o chissà che altro.
Personalmente fino al 1976, pur avendolo guardato mille volte, non sapevo che quel macigno avesse un nome. Me lo disse l’anziana guida ampezzana Angelo Dimai Déo, originario di Chiave, che la zona la conosceva per averla praticata, forse per cercarvi funghi, legna o altro o forse per ripetere la via sulla Punta Erbing da sud, aperta dal padre Antonio con un cliente tedesco nel 1905.
Conservo l’informazione come un bel ricordo di un’illustre figura dell’alpinismo, con cui parlai più volte e dalla quale appresi diverse cose interessanti. Quando uscì la guida di De Zanna e Berti, ricordo che pensai con un certo sussiego “... questa storia del Rana, io la conoscevo già... ”.

7 mag 2013

Il “Trói del Jandàrmo”, tra leggenda e storia


Non so se risponda a verità o sia solo una leggenda (di quelle che facevano la gioia di scrittori come Casara, Degregorio e altri), l’origine del cosiddetto “Trói del Jandàrmo”, il “sentiero del poliziotto”.
E' quello che unisce Ciànpo de Crósc, poco oltre il Brite de Ra Štua, con Rudo de Sóte (Fodàra Védla): fino ad una ventina d’anni fa era quasi ignoto, e in seguito è stato riportato sommessamente “alla luce” dal Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo. 
Da quanto sono riuscito a sapere, l’apertura di quel sentiero anticipò di molto la costruzione della carrareccia militare che da Ciànpo de Crósc rimonta con ampi tornanti la pendice boscosa che scende dalle pendici delle Lavinòres, valica il confine Ampezzo - Marebbe e porta a Fodàra Védla e poi verso Sennes, o Rudo de Sóra. 
Anticamente un poliziotto, finanziere o doganiere, abitava in Marebbe ma prestava il proprio servizio a Cortina. Dovendo andare e tornare, forse con cadenza quotidiana, dal lavoro e non esistendo probabilmente all’epoca un valico agevole attraverso la Mónte de Rudo, costui studiò un percorso tra alberi e rocce, dai Órte de Ra Štua fin quasi al lago di Rudo. 
Quel tracciato consentì, a lui e poi ad altri, di superare lungo la direttrice meno lunga e complessa possibile l'accidentata e selvaggia fascia che si estende tra Ra Štua e Fodàra Védla, sveltendo la marcia da e verso casa. 
Fodara, con la carrareccia militare
che sale da Ra Stua (photo: courtesy of skiforum.it)
Oggi il sentiero è quasi come poteva essere secoli fa: mi risulta indicato soltanto dai segni di vernice che bastano a non fare confusione, individuando due strettoie rocciose attraverso le quali bisogna passare e l’inizio del tracciato presso Fodàra; lungo il percorso, gli ometti di pietre sono radi e gli animali del bosco e delle crode pascolano indisturbati. 
Da alcuni anni più di qualche escursionista, locale e non, conosce il sentiero, non indicato né reclamizzato in alcun luogo. Non va percorso di certo per passare più rapidamente da Ra Štua a Fodàra, ma credo - ed è quello che ho sempre fatto – soltanto per il gusto d’immergersi in un ambiente splendido di acque, cespugli, conifere, detriti, macigni, mughi, dove l’uomo s’intromette in punta di piedi. 
Un paio di metri di roccia, dove la leggenda afferma che, un tempo, una scaletta di legno agevolasse il passaggio, si superano mediante una radice che fa da appiglio: ma quando la radice non ci sarà più?

2 mag 2013

Per Luca, da Ernesto e Iside


Non è facile scrivere di un amico scomparso in montagna senza incappare nei consueti luoghi comuni di cui spesso abusano le cronache: vorremmo evitarlo, chiedendo solo poche parole al nostro cuore. Luca di Udine, che la “Grande Vergine”, nelle Alpi Giulie, ha voluto tenere con sé proprio il giorno del suo 43° compleanno, è stato un amico; di un’amicizia nata per mail e consolidatasi con telefonate, lettere, incontri sia in città sia in mezzo alle crode. 
Ci siamo trovati insieme solo sulla Croda de r'Ancona e a Malga Ra Stua, nelle Dolomiti Ampezzane, ma un filo sottile ci ha legato per anni. La  notizia della disgrazia c’è giunta da Treviso, mentre viaggiavamo verso il santuario mariano più noto dell’Europa dell'Est, impedendoci di rendergli l’ultimo saluto e avere la dedica sul suo secondo libro (cui avremmo tenuto), ma dandoci l’occasione per una preghiera particolare e, ebbene sì, per una lacrima. 
Davanti agli occhi e nelle orecchie abbiamo ancora il suo sguardo un po' malinconico, la sua voce, i fervidi discorsi di montagna e libri che facemmo lungo le nostre strade, vicine ma dirette a destinazioni distinte; lui alpinista affermato e iperattivo in ogni stagione, in preda ad un furore quasi dionisiaco, noi inclini a goderci un alpinismo pacioso, paghi di un quarantennio di fortunate avventure, rivivendo le crode nella scrittura, lettura e fotografia e invitando un po' “kugyanamente” altri a ripetere le nostre scoperte o a farne di nuove. 
Alla mesta notizia della perdita forse potremmo aggiungere tante cose (o anche nessuna): non ce la sentiamo, non vogliamo inoltrarci a cercare quel “Perché?” che solo lui conosce. 
Ci stringiamo alla sua Alessia in un abbraccio; a Luca auguriamo che dal vertice di una delle mille cime di roccia, di ghiaccio, d'erba che ha calpestato in ogni stagione, sorrida oltre le nuvole a tutti noi, che oggi ci sentiamo un tantino più poveri.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...