30 ago 2016

"Baci da Cortina": la gente, le montagne, il paese nelle cartoline d'epoca

Molto attivo in ambito culturale, sia nel natio Agordino che in Ampezzo, l'archivista Loris Serafini ha allestito con Massimo Mantese la mostra Baci da Cortina. Ampezzo a fine Impero (1896-1923). Storia di una comunità attraverso la cartolina d'epoca, che presenta un'ottantina di riproduzioni di cartoline storiche di Cortina e dintorni, facenti parte dell'Archivio Marino Mantese ed esposte nella centrale Ciasa de ra Regoles dal 6 agosto scorso al prossimo 9 ottobre.
A supporto dell'esposizione, è stato curato anche un catalogo, agile compendio di storia locale vista attraverso le cartoline dagli ultimi decenni del diciannovesimo secolo al momento in cui, trasferita all'Italia e alla Provincia di Belluno, Ampezzo del Tirolo venne denominata Cortina d'Ampezzo.
La raccolta dell'Archivio Marino Mantese, forte di oltre settecento esemplari, si rivela molto importante, per la ricchezza, qualità e varietà dei temi e dei filoni riguardanti la conca ampezzana durante la Belle Époque. Tra la fine dell'800 e l'avvento del Fascismo, infatti, più di ottanta editori pubblicarono cartoline con costumi ed edifici tipici di Cortina, la sua gente e le sue vette, vedute panoramiche note e spesso inedite. 
Secondo la mappa delle case editrici presenti nella collezione, le cartoline venivano stampate e diffuse in prevalenza nei paesi dell'Impero Asburgico, ma ne furono realizzate anche in Norvegia, a New York ed a Toronto, godendo quindi Cortina e le Dolomiti già allora di una conoscenza quasi planetaria.
Gli esemplari esposti, riuniti per linee tematiche (Strada delle Dolomiti, mezzi di trasporto, rifugi, alpinismo e sport invernali, panoramiche del paese da tutti i versanti della conca, ospitalità e alberghi) e corredati da note esplicative sulle caratteristiche delle cartoline austro-ungariche e poi italiane, e sui timbri, francobolli e annulli postali usati negli anni, aprono uno spaccato sulla comunità ampezzana, in prevalenza agricola ma avviata fin dal 1860 a uno sviluppo che sembrava portare fiorenti prospettive, ma fu segnato dalla cesura della Grande Guerra, che incise per sempre nel divenire della valle. 
Il catalogo, curato nei testi e nella ricerca e, ovviamente, illustrato con dovizia (suggestiva, anche se "già vista", in copertina la Strada delle Dolomiti sotto il Passo Falzarego con il Sas de Stria sullo sfondo) si offre come un succinto Baedeker di storia ampezzana fra l'Ottocento e il Novecento, supportato da una bibliografia e una sitografia che risultano utili per approfondimenti e curiosità. 
Una mostra e un volume di un certo spessore, dunque, che rafforzano la cura dimostrata da Cortina, e soprattutto dalle Regole d'Ampezzo, nel presentare a ospiti e residenti briciole di storia e di cultura locale, anche al di là della stagione turistica.

25 ago 2016

Alessandro Zardini, la guida che non venne ascoltata

Delle due guide di Cortina scomparse d'inverno e in modo tragico, il primo in ordine cronologico fu Alessandro Cassiano Zardini «Nòce», nato nel villaggio di Staulìn il 24 aprile 1887. Poco meno di un secolo fa, il 13 dicembre 1916, infatti, Zardini fu sepolto - insieme ad altri trecento compagni d'arme - da una valanga di 200.000 mc caduta nella località detta Gran Poz, ai piedi della Marmolada di Rocca.
Alessandro Cassiano Zardini (1887-1916)
- Raccolta fotografica E.M. -
Promosso guida da quattro anni con il coetaneo Simone Lacedelli «da Rone» (1887-1970), il giovane Alessandro non aveva ancora maturato esperienze importanti, a parte la seconda salita, compiuta il 13 agosto 1916 col Tenente Norbert Gatti, della via di Laufenbichler e Langes sulla nord della Roda del Mulon; un lungo percorso di discreta difficoltà, che è plausibile fosse stato ripetuto per ragioni strategiche e tattiche più che per mestiere o per puro divertimento.
La guida lasciò la giovane vedova e tre figli, dei quali la minore, Stefania, è scomparsa da non molti anni; il suo nome è stato inciso sia nella cappella che poi sulla lapide voluta dal Comune in memoria dei 140 cittadini di Cortina vittime della Grande Guerra. 
Purtroppo, oltre al pezzo di carta recuperato negli anni '60 da uno dei rari salitori della Roda del Mulon, misconosciuta vetta del gruppo della Marmolada, non so se siano disponibili documenti o immagini sulla breve attività del «Nòce»; se ci fossero, sarebbero sicuramente utili per ricostruire la storia civile e militare dell'ampezzano.
Di lui, chi scrive ha riunito qualche anno fa le poche notizie reperite sulla rivista «Cortina», per gettare più luce possibile sulla parabola esistenziale di una guida alpina che stava avviandosi alla vita.
A soli 29 anni Zardini - insieme a tanti altri sventurati - pagò le assurde decisioni di un Comando, sacrificandosi a causa dell'errata installazione - da lui stesso, coscienzioso montanaro, sconsigliata - di un accampamento in una delle aree più pericolose del fronte e nell'inverno più nevoso della Grande Guerra.

19 ago 2016

La galleria, il Belvedere, il Miravalle delle sorelle Colli

Italiani e stranieri, molto spesso motociclisti, sostano volentieri in gran parte dell'anno al belvedere su Cortina che si trova presso la galleria "di Crépa" sulla Strada Regionale 48. Il tunnel, lungo soltanto venti metri, fu scavato a mano oltre cent'anni fa nella dolomia della parete soprastante, durante gli ultimi lavori per la costruzione della Strada delle Dolomiti che, attraverso i passi Costalunga, Pordoi e Falzarego, dal settembre 1909 collega Bolzano a Cortina. 
La Strada delle Dolomiti e il Belvedere,
in una vecchia cartolina (raccolta E.M.)
La galleria si trova un paio di chilometri circa prima degli alberghi di Pocol; poco più a valle di essa uno slargo sul vuoto, protetto da una ringhiera che meriterebbe un po' più di cura, offre una visione di grande effetto, soprattutto di notte o dopo una nevicata, su Cortina e le sue montagne.
Il belvedere serve a chi desideri farsi un'idea della valle dall'alto, senza faticare. Le possibilità di fruirne, però, sono spesso ridotte, quando il sito è affollato; a quel punto, è meglio lasciare i mezzi a qualche decina di metri di distanza, all'ombra di un ciclopico masso isolato che si sporge sulla strada e raggiungere il belvedere a piedi. 
Non lontano dal masso, sull'orlo del bosco, negli anni Venti del '900 qualcuno ebbe l'idea di erigere anche uno chalet. Battezzato Ristorante Miravalle, del rustico edificio in legno e muratura furono solerti custodi fino alla fine degli anni '30 le sorelle Angela Teresa (detta Anjelina, 1887-1964) e Rosa (detta Rosele, 1888-1963) Colle, o Colli Saèries, figlie di quel Giacomo - guida alpina - che fu invece l'indiscusso genius loci dello storico Ospizio Falzarego sulla strada del Passo. 
Il Miravalle, abbastanza comodo da raggiungere a piedi da Cortina e perciò sicuramente meta di visite nei giorni di festa, in un'epoca di scarso traffico veicolare, nel 1946-47 dovette essere abbattuto, perché il terreno scosceso che caratterizza la curva su cui era stato costruito minacciava di franare. 
Spariva così un caratteristico angolo della vecchia Cortina, che nessuno - tranne l'amico Luciano Cancider, scomparso un anno fa, che lo descrisse nella raccolta di ricordi Cronache dalla valle d'Ampezzo, edita dalle Regole nel 2012 - si è più preso la briga di far rivivere.

12 ago 2016

"Rifugi" di Cortina scomparsi

Prima della Grande Guerra, che cambiò radicalmente la società e l'economia della valle, oltre ai cinque rifugi del Club Alpino Tedesco-Austriaco, l'Ospizio Falzarego (comunale) e l'Albergo Cinque Torri (privato), Cortina offriva anche alcuni Cabiòte. Semplici ristori più che veri e propri rifugi, situati comunque a distanza dal paese e curiosamente gestiti in massima parte da donne, attiravano sia i turisti dell'epoca che i valligiani.
Il più famoso fu senz'altro il Cabiòto de ra Méscores, costruito vicino al ponte sulla forra del Rio Travenanzes, a due ore circa di cammino da Cortina sul sentiero per il rifugio von Glanvell. Gestito dalle sorelle Franceschi Méscores, spiccava per la cucina sopraffina. 
Sulla vecchia strada verso il Passo Tre Croci, in uno slargo di fronte all'ex Ristorante Malga Lareto, c'era invece il Cabiòto de ra Scèca. Di dimensioni ridotte, costruito tutto in legno, era gestito da Anna Verzi Scèca, che offriva servizio di osteria e rustico ristoro.
Il Cabioto de ra Scèca, prima del Passo Tre Croci,
1905 (raccolta E.M.)
Un po' prima di questo, sulle rive del piccolo specchio d'acqua detto Lago Scin (sarebbe più corretto il toponimo Laguscìn, che significa semplicemente laghetto), il Cabiòto delle sorelle Majoni Pioanèles, esponeva sopra l'ingresso la pomposa insegna "Restaurant Lago-Scin". 
Lungo la Strada delle Dolomiti, presso la galleria dalla quale si scorge Cortina, ai primi del Novecento sorse il Ristorante Miravalle, gestito dalle sorelle Angelina e Rosa Colli, figlie di Giacomo Saèrio, già conduttore dello storico Ospizio Falzarego. Nel 1929, la “Guida illustrata di Cortina” citava l'edificio, aperto fino alla metà del secolo, come "l'isolato Ristorante Miravalle, sito sull'orlo del bosco".
Un ristoro in legno e muratura, di cui però non so i gestori, sorgeva poi sopra il Miravalle, sull'orlo del bastione roccioso di Crépa. Nel luogo, detto Belvedere, giunse nel 1925 la funivia Cortina - Pocol e nel 1936 fu eretto l'Ossario dei caduti in guerra. Per salirvi, furono aperti due sentieri, oggi ancora agibili: uno che inizia sulla Strada delle Dolomiti presso la galleria, e l'altro che si dirama, presso la Crosc de Ester, dalla carrareccia che porta da Lacedel a Pocol.
La guida di Terschak citava un altro locale, poco fuori il paese: il Ristorante Al Museo, annesso al Museo Elisabettino, che "trovasi ad ovest di Cortina, sopra il villaggio di Ronco", in una "casa di legno, creduta una delle più antiche della valle. Bellissima vista. Varie antichità". 
Che cosa resta di quelle costruzioni che vivacizzarono il turismo di Cortina tra l'800 e il '900? Poco: forse qualche sasso, alcuni vaghi ricordi e sbiadite fotografie.

8 ago 2016

La Zésta: ghiaie, rocce, erbe e camosci

Guardandola dai dintorni del lago del Sorapis, quindi da zone pascolive e di caccia poi divenute turistiche, sicuramente solleticò la fantasia degli avi per la forma di enorme cesta capovolta, dalla quale ha preso il nome di Zésta (del Sorapis, perché ci sono anche altre Zéstes ai piedi della Tofana di Dentro). 
Di grossa stazza ma di poca rilevanza per l'alpinismo, la Zésta fu salita per la prima volta da nord, in tempi e da uomini ignoti; si suppone che i "conquistatori" possano essere stati cartografi, perché sulla vetta fu lasciato un segnale trigonometrico.
La cima raggiunge la rispettabile quota di 2768 m; domina i pascoli delle Crepedèles da oltre 400 m d'altezza e spunta già dalla strada tra Cortina e il Passo Tre Croci. La sua roccia - stratificata in modo bizzarro e poco solida - non la rende di certo una meta appetibile, e per questo è sempre rimasta in disparte. 
Qualcuno peraltro l'ha apprezzata e l'apprezza; negli anni Ottanta un tipo che conosco immaginò persino di trovare una via sul versante dei Tondi di Faloria, foggiato "a canne d'organo"; ma, così come arrivò, quella strampalata immagine si volatilizzò.
Sui fianchi della Zésta, oltre alla via comune da Forcella del Ciadin, ce ne sono altre due, di poco conto per chi in montagna cerca solo il grado: una da SE (di Antonio Berti, Severino Casara, Alberto Musatti e Toti Gastaldis, 6 agosto 1929) e una lì vicino, che l'austriaco Hubert Peterka aprì da solo nel luglio 1930. 
La Zesta dalla Monte de Faloria, sul sentiero Cai 213
(foto E.M.,estate 2012)
La storia della montagna non si esaurì comunque con Peterka, ma registra altre due date: la prima invernale del 7 febbraio 1942, dei triestini Giorgio Brunner, Mauro Botteri e Massimina Cernuschi; la probabile prima solitaria invernale del 5 gennaio 1995, dovuta alla guida Ario Sciolari (la notizia fu trovata nell'estate successiva sul libro di vetta).
Chi scrive ha pestato la Zesta per quattro volte, scendendo in due occasioni lungo la via Berti fino al lago, con una traversata gratificante e al confine fra escursionismo e alpinismo, di bassa difficoltà ma in un ambiente complesso, assolutamente solitario e senza tracce rassicuranti: ghiaie, rocce, erbe e camosci. 
Oggi pare che sulla Zésta, dotata negli anni Novanta anche di un libro di vetta, d'estate si spinga più di qualcuno: lo meritano certamente il sapore alpino che la cima offre e il vasto orizzonte che da lassù spazia, verso il vicino Sorapis e molte altre mete oggetto di avventure, soddisfazioni e sogni. 

4 ago 2016

Torre Inglese: 53 metri di magnifica dolomia

Da un decennio, un sofisticato sistema satellitare posto presso la cima della Torre Inglese nel gruppo delle Torri d'Averau, monitora il pinnacolo per segnalare possibili cedimenti e possibilmente prevenire una fine triste come quella della vicina Trephor, schiantatasi di colpo al suolo nei primi mesi del 2004. 
La quinta torre, visibile fin da Cortina e caratteristica per la conformazione a corno, è alta per l'esattezza cinquantatrè metri e vanta una storia, breve ma radicata. 
Fu salita per la prima volta dal lato sud-est, dal britannico G.W. Wyatt con le guide di Cortina Angelo Maioni Bociastorta (1866-1953) e Sigismondo Menardi, Mondo de Jacòbe (1869-1944). Era l’estate del 1901; dopo la Grande, l’Inglese era la seconda delle torri d'Averau ad essere conquistata. 
La Torre Inglese da ovest.
Si notano in vetta il sistema satellitare
e poco sotto un alpinista,
(foto E.M., giugno 2009)
Il 27 luglio 1924 il giovanissimo Severino Casara apportò, forse senza saperlo, una variante alla via Wyatt, superando in salita la parete usata ordinariamente per la discesa. 
Il 28 giugno 1936 il vicentino Gino Soldà, di passaggio a Cortina, salì da solo i venticinque metri del liscio spigolo est; durante la seconda guerra mondiale, il 23 settembre 1941, Mario Borgarello e Renato De Toni affrontarono anche la friabile parete ovest, già scesa a corda doppia da alcuni alpinisti bellunesi nel 1912. 
Da ultimo, toccò allo spigolo sud, scalato nell'estate 1960 dagli agordini Vittorio Fenti e Bepi Pellegrinon. Questa via però non pare attribuibile a loro, poiché esistono fotografie con persone impegnate sullo spigolo prima del 1960.
Oggi la Torre Inglese è sempre visitata, sia per la brevità e l’eleganza della salita che per la bontà della roccia. Chi scrive mise per la prima volta i piedi in vetta nell'estate 1975, alla corda dello Scoiattolo Luciano Da Pozzo; il 4 aprile di quarant'anni or sono compì da capocordata la prima di una buona serie di salite, e ne mantiene ancora vivo il ricordo.

1 ago 2016

Sul Corno d'Angolo, palestra di Innerkofler e di Comici

Da sud, ossia dal ponte che sormonta il rio Rudavoi sulla strada tra Cortina e Auronzo, il Corno d’Angolo (Eckhorn, per i tedeschi) mostra una spiccata individualità, costituendo un interessante soggetto fotografico. 
Dal Cason de Pòusa Marza, ricovero regoliero che sorge alle sue pendici in una radura fra i dirupi ed è meta di escursioni estive e invernali, invece, il colpo d'occhio è più caratteristico.
Il punto di osservazione, raggiungibile soltanto a piedi, legittima l’oronimo di Corno assegnato al monte in epoca non antichissima; parrebbe però quasi più logico definirlo “di Pòusa Marza”, visto che esso sorveglia, come un impassibile gendarme di dolomia, il sottostante pascolo dallo stesso nome, ottenuto da una radura paludosa bonificata. 

La zona fu sicuramente esplorata da valligiani fin da epoca remota e il Corno - salito per la prima volta non si sa né quando né da chi - fu palestra di caccia per Michele Innerkofler, leggendario inseguitore di camosci e pioniere dell'alpinismo sulle Dolomiti della Val Pusteria e di quella d'Ampezzo. 
Il primo a trovare una via di salita sulle sue rocce non proprio marmoree fu un alpinista illustre, Emilio Comici.  Il 20 settembre 1933, solo pochi giorni dopo aver salito il famoso "Spigolo Giallo" sulla Cima Piccola di Lavaredo, il triestino superò infatti con del Torso lo spigolo sud, riferendo nella relazione di passaggi “friabili e pericolosi, perché difficilmente i chiodi tengono”.
Chi, da ultimo, guardasse però il torrione dal lato più nascosto, dalla conca di ghiaie e macigni punteggiati d'erba che dalla sella coi ruderi di un rifugio dalla vita breve estende la Val Popena Alta fino a ridosso del Piz Popena, lo vedrà più mansueto e la cima non gli opporrà strapiombi, ma placche e scaglie inclinate. 
Sul versante nord, infatti, vaghe tracce e qualche ometto schiudono l'accesso alla vetta, angusta e un po' instabile. Dal sommo della conca di ghiaie bastano quindici-venti minuti di salita, facile ma su terreno che richiede prudenza a causa della qualità della dolomia e di un paio di passaggi esposti. 
Ernesto sul Corno (foto A.C., agosto 2004)
Il culmine, segnato da un bastone e un quaderno con rare firme, offre un panorama per nulla scontato, che si allarga dalle crode del Popena a quelle delle Marmarole, dai Cadini di Misurina alle Tre Cime e fino a Cortina.
Stupiranno il visitatore la secolare pace e il silenzio che aleggiano tra quelle vette e torri appartate, l'isolamento di quel Corno, minore e fuori dalle mode, sul quale chi ha costantemente scelto angoli abbastanza remoti cercando di schivare, se e quando possibile, monti troppo "usurati", si è sempre trovato molto bene. 

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...