17 set 2013

Sas Peron, storia di un'utopia

Sette lustri fa o giù di lì, tre o quattro di noi partirono a piedi da Cortina, muniti di un’attrezzatura alpinistica piuttosto raccogliticcia e assemblata di nascosto dalle famiglie, con l’intenzione di dare la scalata al Sas Peron. 
Questo roccione, dall’oronimo tautologico di “Sasso Pietrone”, sorge in destra orografica del Boite nella zona di Nighelònte, proprio di fronte alla fabbrica “Lacedelli”. Se ne lambisce la base percorrendo il comodo sentiero 413, che congiunge il Ponte de ra Sia presso Fiames con Cortina (o meglio, le case di Ciadin de Sora). 
La sua sommità si dovrebbe poter raggiungere in poco tempo, annaspando tra la fitta vegetazione, dalla strada che dal citato Ponte de ra Sia sale al Lago Ghedina, attualmente chiusa al traffico (e piacevole da percorrere a piedi). 
Ovviamente, la prima ascensione della parete, qualche decina di metri di roccia grigio-giallastra e all'apparenza friabile, perché piena d'erba, che volevamo compiere, non andò a buon fine: meglio così. 

Quello che ho ricordato l'altro ieri pomeriggio, tornando con moglie dopo decenni nei paraggi del Sas Peron, è la dose di sfrontatezza con cui, armati di un po’ di ciarpame e di poca tecnica ma "gasati" come pochi, avremmo voluto crearci, con almeno 15 anni d’anticipo sulle scoperte di Son Pòuses e Crepe d’Oucèra, una palestra di arrampicata vicina a Cortina e a bassa quota (1342 m), dove speravamo di incrementare le nostre nozioni alpinistiche. 
Esse s'incrementarono senz'altro un po', con risultati piuttosto diseguali per ciascuno dei membri del gruppo originario, mediante un semplice rimedio: salire, salire montagne vere e proprie, mirare in alto senza andare a impegolarsi su massi friabili in mezzo al bosco; se nessuno vi aveva mai pasticciato prima, ci sarà pure stata una ragione ...

14 set 2013

Tracce di un alpinismo antico

Dalla dorsale che la Croda Rossa d'Ampezzo protende verso E, emerge una cima tanto massiccia e ben visibile già da Cimabanche, quanto poco nota al grande pubblico.
Dal ramo che essa si allunga verso il valico, scende un costone in alto roccioso e in basso coperto di alberi e mughi, che limita sulla destra orografica la Val dei Chenòpe, al confine tra Cortina e Dobbiaco.
Il costone si chiama Costa del Pin perché gli alberi che lo ricoprono sono perlopiù pini silvestri; la cima sovrastante, salita per la prima volta da austriaci poco più di un secolo fa, ha lo stesso nome, Ponta del Pin, e raggiunge la quota di 2682 m.
Si tratta di un angolo ben conservato dei nostri monti, soprattutto perché privo di sentieri d'accesso. Lungo la dorsale della Costa del Pin, si sviluppa l'attuale limite confinario fra il Veneto e l'Alto Adige, del quale - in mezzo a mughi inestricabili – si nascondono alcuni capisaldi. 
Sulla Punta invece si sale dall'altipiano di Pratopiazza, con un minimo impegno alpinistico. 
Nell'agosto 1990, quando calcai per la prima volta la sommità della Punta del Pin, dalla quale si gode una insolita visuale sulla Croda Rossa, ero preparato. 
La Ponta del Pin, da Pratopiazza, 30/8/13
(photo: courtesy of idieffe)
Mi aveva incuriosito e guidato la laconica relazione della salita che Antonio Berti inserì nella sua guida delle Dolomiti Orientali, e mi era occorso di parlarne col figlio Camillo, profondo conoscitore delle nostre montagne, che mi confermò di avere salito la Punta col padre quando aveva forse una decina d'anni. 
Dopo il 1990 vi sono risalito un'altra mezza dozzina di volte, ripercorrendo dimenticate tracce di un alpinismo antico, privo di vernici e cartelli, in un ambiente magnifico e che non si può dimenticare.

7 set 2013

Per il 75° della Fessura Mazzorana sulla Torre Wundt

Per gli amanti delle statistiche, ricorre oggi il settantacinquesimo compleanno di un itinerario alpinistico molto apprezzato dagli estimatori dell’arrampicata classica: una via comoda e panoramica, su roccia buona e protetta, con una discesa veloce e un punto d’appoggio nei pressi. 
Sto citando l'amata fessura sulla parete SE della Torre Wundt nei Cadini di Misurina, proprio di faccia al Rifugio Fonda Savio. Scopritori dell’itinerario in questione, salito per la prima volta il 7/9/1938, furono due personaggi che potevano essere padre e figlio. Capo cordata era il longaronese Piero Mazzorana (1910-80), trapiantato ad Auronzo e guida alpina a Misurina da tre stagioni. Il suo secondo era il conte udinese Sandro Del Torso (1883-1967), che aveva scoperto le Dolomiti in età matura e nel decennio 1932-42, coi migliori alpinisti e guide del periodo, aprì 34 vie fino al 6° grado. 
Quell’estate Del Torso poté iscrivere nel suo carnet ben cinque prime salite, mentre Mazzorana ne scoprì tre, fra le quali un’altra – parallela, ma non altrettanto godibile - sulla stessa parete della Torre Wundt, il 20 settembre con la veneziana Ilde Scarpa. 
Durante una delle mie tante salite, 
27/8/1984
Passarono quattro anni prima della seconda salita dell'itinerario, destinato a divenire una classica dolomitica ancora di moda (merito dei mantovani Mario Pavesi e Cesare Carreri, il 14/8/1942), diciotto per registrare la prima invernale (effettuata da Bruno Baldi e Sergio Scarpa l’11/3/1956), e quarantatré per la prima salita di chi scrive, che conobbe la Wundt il 12/8/1981 con l'amico bolognese Mario Sanvito.
Il sottoscritto, che in quegli anni si era attaccato a quella via in maniera quasi maniacale, rifacendola una ventina di volte nello spazio di tre lustri, il 7/9/1988 era pronto per salire al Rifugio Fonda Savio e festeggiare degnamente con l’ennesima salita il mezzo secolo di vita dell’itinerario. 
Sarebbe stata un’occasione di rilievo, ma all’ultimo momento l'amica interpellata diede forfait senza motivo, e la giornata fu dirottata sulla più semplice, ma ugualmente piacevole, via ferrata “Bovero” sul Col Rosà. 
Buon 75° dunque, carissima Fessura Mazzorana!

5 set 2013

La Montagna di mio padre

A quindici anni dalla scomparsa, dedico questo pezzo a mio padre e alle salite che riuscì a compiere in gioventù. 
Si destreggiò in roccia solo per un breve periodo e, dati i tempi, conseguì anche onesti risultati. Pur frequentando “Scoiattoli” e guide dell’epoca, non ebbe la possibilità e poi il tempo materiale di fare di più, giacché metà dei suoi vent’anni volò via a Napoli, in Corsica e in Sardegna con la divisa addosso. 
Mio padre comunque non si dispiacque mai di non aver salito grandi vie, e andò in montagna per tutta la vita, amando specialmente i sentieri, le ferrate e i rifugi d’Ampezzo e non solo, e comunicando spesso a noi, prima piccoli incantati e poi più grandi saputelli, tante sue avventure giovanili. 
Tempo fa trovai in casa diverse fotografie di montagna, risalenti agli anni a cavallo della II Guerra Mondiale: d’inverno in Sennes, Fodara e Fanes, d’estate sul Cristallo e sulla Marmolada, sulla parete S della Punta Fiames, sulla via Inglese della Tofana II, sulla via Miriam della Torre Grande. 
Giuseooe Majoni sulla Punta Fiames,
24/8/1941
Mancavano quelle, se mai ce n’erano, di un’altra via nota ai primi del ‘900 e oggi dimenticata, che mi raccontò di aver tentato con un collega di banca: il Camino Barbaria del Becco di Mezzodì. Il freddo e l’umidità dell'autunno, la stanchezza o chissà che altro, li obbligarono a desistere, e da allora non tornò più su sul Becco, una montagna un tempo nota per le vie che offriva ma oggi messa abbastanza in disparte. 
Intorno al 1985, a me e mio fratello sarebbe piaciuto riportarlo sulla “paré” della Fiames, che secondo il libretto di via, mio padre aveva salito quattro volte tra il '40 e il '47 e di cui conservo due belle immagini. 
Non riuscimmo a combinare. Chissà come sarebbe andata ... Penso che sia un peccato non aver portato a termine con lui quella salita, in cui si sono arrischiate decine d’ampezzani, noi compresi! 

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...