30 apr 2023

50 anni fa moriva Renato De Pol "René"

15 aprile 1973, Domenica delle Palme: sono passati cinquant’anni.
Due amici vollero salire sulla Torre Quarta Alta d’Averau per una nuova via sulla scura parete nord: erano Lino Lacedelli, Scoiattolo e guida alpina classe 1925, e Renato De Pol detto René, veneziano di 45 anni emigrato per lavoro a Cortina ed appassionatissimo delle Dolomiti. I due scalavano spesso e volentieri insieme: purtroppo, quella fu la penultima volta, poiché soltanto due settimane più tardi, il 1° maggio, René cadeva dal rinomato «Spigolo Jori» della Punta Fiames, che conosceva molto bene ed aveva scelto, insieme all'amico Lino ed a Marisa Zangiacomi, per affrontare la nuova stagione alpinistica.
Per il nuovo tracciato, la cui relazione apparve soltanto nel 1987 nella piccola guida di Franz Dallago e Sandro Alverà «Cinque Torri. La palestra degli Scoiattoli», edita da Tamari Montagna e presentata da Lacedelli e Lorenzo Lorenzi, si dichiarò uno sviluppo di 70 metri e un impegno compreso tra il IV grado superiore e il V superiore. La via, scalata in un’ora soltanto, non fu certamente una grande impresa, quindi, ma una testimonianza dell’inventiva dei due ultra quarantenni.
Tra l’altro, risulta che quella con René fu anche l’ultima delle vie aperte da Lacedelli, 29 anni dopo la prima, tracciata in tempo di guerra con due amici quindicenni sulla Cima Ovest della Torre Grande. Dopo di essa, sulla stessa parete ne comparve un’altra, chiodata a spit e quindi espressione di un alpinismo moderno, che non era ormai più quello di Lino e Renato.
La Torre Quarta Alta (Foto E.M.)

La tragica caduta scosse profondamente l’ambiente alpinistico locale; l’anno seguente, il valente e sempre entusiasta De Pol – di professione fotografo per Foto Ghedina – venne ricordato dagli amici, con in testa la guida veneziana Giorgio Peretti, nel sentiero attrezzato che ricalca un percorso di guerra sulle Punte del Forame de Fora nel gruppo del Cristallo, da Ospitale a Forcella Verde.
Sulla Nord della Quarta Alta, una guglia che vanta storicamente il pregio di essere stata salita per la prima volta nel settembre 1911 da Angelo Dibona Pilato - indiscusso simbolo delle guide ampezzane - con l’albergatore Amedeo Girardi, i rocciatori di Cortina lasciarono una bella testimonianza, e a mezzo secolo dalla loro scalata e dalla immatura scomparsa di René De Pol la riproponiamo volentieri.

29 apr 2023

I centocinquant'anni di Bortolo Barbaria

Nell'aprile del 1873 nasceva e settant’anni fa, il 21 febbraio 1953, si spegneva la guida alpina di Cortina Bortolo Barbaria, conosciuto come «Bortolìn Zuchìn». Il suo nome ricorda in primo luogo una cima, il Becco di Mezzodì, e una via, il «Camino Barbaria», che ai primi del Novecento fu molto rinomato, e poi messo man mano in disparte a vantaggio di altri tracciati più agevoli, su terreno migliore e più gratificanti.
Di Bortolìn, primogenito della guida Giovanni e padre della guida Giovanni jr, autorizzato alla professione dal 1901, è rimasta l’affezione per i camini, che percorse in quantità. A quasi settant’anni non si era ancora fermato: nell'estate 1939 c'è la sua firma sul libro di vetta del Piz Popena, intorno al 1941 fu fotografato sulle Cinque Torri con Celso Degasper Meneguto e Bruno Verzi Scèco, altre due guide che potevano essergli figlio e nipote.
Bortolo Barbaria
tra Bruno Verzi e Celso Degasper
Il 19 agosto 1908, dopo un precedente tentativo, Barbaria riuscì a superare con Giuseppe Menardi Berto la spaccatura che solca l’appicco nord del Becco, proprio di fronte al rifugio sul lago di Federa allora in mano alla Sektion Reichenberg del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Lungo il levigato camino, dietro al Zuchìn e al Berto c’erano i clienti veneti Francesco Berti e Ludovico Miari. Il percorso, di tutto rispetto per l’epoca, non poteva mancare nel carnet delle sorelle ungheresi Ilona e Rolanda von Eötvös, che lo salirono per seconde il 31 luglio 1909, con i fedeli Antonio Dimai Déo ed Agostino Verzi Scèco.
La prima ascensione in solitaria della via, compiuta in sole 2 ore dal rifugio, spettò alla giovanissima guida Francesco Jori di Canazei nell’estate 1909: nulla si sa invece di una prima d’inverno, se mai fu compiuta. Dal punto di vista personale, ritengo un peccato non aver conosciuto quel camino: sarebbe oggi un piacere, possederne dati meno asettici di quelli meramente libreschi! Ricordo però quanto raccontò mio padre, il quale lo provò con un amico nell’autunno 1942, ma fu costretto a battere presto in ritirata, a causa del freddo.
Nessuno degli amici e conoscenti che hanno esplorato ed ancora esplorano i nostri monti, mi menziona mai il «Camino Barbaria», che il Becco conserva a perenne ricordo di «Bortolìn Zuchìn» da Bigontina, uno dei valenti pionieri delle Dolomiti ampezzane.

Cima Grande di Lavaredo, 1933-1983-2023

Il 14 agosto prossimo ricorrerà il 90° anniversario della conquista di una delle pareti iconiche delle Dolomiti: la Nord della Cima Grande di Lavaredo, salita dopo vari tentativi da Emilio Comici coi fratelli ampezzani Angelo e Giuseppe Dimai.
Delle giornate del 12-13-14 agosto 1933, delle difficoltà dell’ascensione, dei chiodi usati, delle sterili polemiche seguite si è scritto tanto, fin da allora. Dopo quasi un secolo i testimoni di quei giorni sono ovviamente scomparsi ma, nonostante questo, sembra che qualcuno covi ancora dei dubbi sui meriti della scalata. Ne fa fede la biografia di Comici del canadese David Smart "Emilio Comici. L'angelo delle Dolomiti", edita da Solferino nel 2022, dalla quale a chi scrive è sembrato che all’autore le guide ampezzane siano risultate tutto sommato poco simpatiche.
Lo stesso 14 agosto cadrà anche una ricorrenza tutta mia personale legata alla Cima Grande di Lavaredo: il 40° della prima salita sulla Cima, che compii per la via normale e da solo. Quella mattina del 1983, sull’autobus col quale mi recavo al rifugio Auronzo incontrai l’ormai anziano Angelo Dimai, la moglie Clori e il nipote Ugo Samaja, e mi parve di capire che salivano alle Tre Cime per ricordare il 50° della Nord. Pur conoscendoli, feci finta di niente e all’Auronzo sparii velocemente, per evitare che magari riferissero a casa della «pazzia» che stavo facendo. Superai la normale senza alcun intoppo, tenendo la corda nello zaino; firmai il libro di vetta e, mentre mi gustavo il sole dei 2999 metri, vidi spuntare due ragazzi che fra loro parlavano in ampezzano.
Emilio Comici (1901-40)
Non li conoscevo: si presentarono, seppi che si chiamavano Mario e Roberto, erano di sette e sei anni più giovani di me e avevano salito lo "Spigolo Dibona", un sogno che nel 1985 ebbi pure io la possibilità di realizzare. Ci accordammo subito di scendere insieme con la loro corda; tutto filò liscio, e rimediai anche uno strappo in macchina fino a Cortina. La giornata fu davvero importante, sia dal punto di vista personale che storico e alpinistico; mi dispiace di non avere nemmeno una fotografia di quell’ascensione, che nell’estate 1996 ripercorsi per la terza volta con due amici, rischiando grosso a causa di un furioso temporale che ci assalì durante il rientro!
E quando, poco tempo fa, ho rivisto Roberto, mi è venuta ancora in mente quella bella domenica.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...