30 ott 2016

Il Col de Lasta, un suggerimento per l'autunno

Probabilmente sarà più frequentato in inverno, che non nel resto dell'anno; lo ritengo un bel suggerimento per chi si trovasse al Rifugio Sennes, aperto di solito fino a stagione inoltrata e d'inverno, e volesse impiegare fruttuosamente qualche oretta. 
Meta quasi obbligatoria per chi si ferma lassù e magari desidera ammirare il tramonto dall'alto, il Col de Lasta (esattamente Picio Col de Lasta, 2297 m) è un rilievo tondeggiante di valore solo escursionistico; domina il pascolo e il rifugio Sennes, in Val di Marebbe ma molto frequentato anche da Cortina, e permette un'escursione breve, facile e tranquilla. 
Per salirvi, dietro il rifugio si prendono le marcate e visibili tracce che risalgono il costone NO, riunendosi in alto con altre tracce che salgono dal vicino Rifugio Munt de Senes; in una mezz'ora abbondante si è sulla cupola terminale. 
Il Rifugio Sennes: subito dietro, il Col de Lasta
in abito invernale (foto www.cairovigo.it)
Vetta solitaria malgrado sia prossima a due frequentati rifugi (in una domenica d'agosto, salii e scesi il Col da solo, senza incontrare mai nessuno), il Col de Lasta è un monte senz'altro modesto, ma incastonato a meraviglia fra le crode, forcelle e vallate dei parchi di Fanes - Sennes - Braies e delle Dolomiti d'Ampezzo. 
Dopo la sosta in vetta, volendo visitare un'altra cima - poco nota e calpestata - si può continuare per la cresta, e in una manciata di minuti inserire nel proprio carnet anche il Col Maréo (sulle carte più diffuse il nome non lo vedo; si trova invece un Gran Col de Lasta, quotato 2311 m, che potrebbe essere anche il Maréo "ribattezzato" ad uso turistico). 
Su questo secondo Col svetta una croce con un'iscrizione in ladino marebbano, di cui purtroppo non ho immagini: io l'ho salito una sola volta, immergendomi lassù in un ambiente sconfinato e godendo di qualche attimo di pace perfetta.

28 ott 2016

Montagne, segni zodiacali e colori ...

Gli oronimi (i nomi di luogo legati alle montagne) si possono classificare coi criteri più diversi: provare a farlo può essere un ottimo spunto per originali studi scientifico-alpinistici.
Dagli zootoponimi legati agli animali, agli ergotoponimi legati al lavoro dell'uomo, dai toponimi connessi alla religione a quelli derivati da nomi di persone, e così via; una raffinata classificazione di questo genere, per circa 600 toponimi ampezzani, è già stata ideata e realizzata negli anni '90 dall'amica Lorenza Russo. 
Una curiosità che mi è balzata agli occhi di recente è che, perlomeno sui monti delle Tre Venezie, non mancano neppure alcuni oronimi legati allo zodiaco. 
Non ho trovato, però, tutti i 12 segni; ma penso che possano esistere, magari in zone più lontane e remote rispetto a quelle che ho conosciuto e frequentato. 
In ogni caso, sull'arco alpino orientale si riscontrano nomi di montagne e di luoghi che evocano i Gemelli (Cadini di Misurina), il Leone (Monfalconi), il Toro (Spalti di Toro), la Vergine (Alpi Giulie); almeno un terzo dell’arco zodiacale, a questo punto, è rappresentato. 
Di nero questa piccola cima non ha nulla, eppure 
si chiama Monte Nero di Braies (foto E.M., 28.9.03)

Aggiungo poi gli oronimi connessi ai colori: che ne dite di Cresta (Cristallo), Croda (Marmarole), Punta (Alpi Aurine), Sasso Bianco (Marmolada)? Di Forcella (Cristallo) e Torre Gialla (Pale di San Martino)? Di Punta Grigia (Croda dei Toni)? Di Croda (Vedrette di Ries), Punta (Sorapis), Sasso (Alpi Aurine, ma anche Monti di Volaia) e Monte Nero (Dolomiti di Braies)? Di Monte Rosa (Popera)? Di Croda (Rossa d'Ampezzo), Forcella (Tofana), Monte (Alpi Carniche) e Sasso Rosso (di Braies)? Del Col (Pale di San Martino), Forcella (Cristallo) e Promontorio Verde (Alpi Giulie)? E chi più ne ha più ne metta: chissà quanti altri!
Se diventasse difficile innovare costantemente questo blog, che mi pare seguito con lusinghiero riscontro, inizierò a raccogliere e classificare cime "astrologiche", "colorate", "diaboliche", "personificate", "sante" ecc., per costruire un ominario o un bestiario alpino dalle mille facce. Mi tengo questo "alpinismo di carta" per riempire, magari, le stagioni che verranno.

21 ott 2016

Il Torrione dell'Abete, cima quasi ignota

Pescando dal lungo elenco di oronimi ampezzani di derivazione alpinistica, spesso piuttosto moderni, che compilai anni fa con l'idea di farne una pubblicazione, ne ho trovato uno che mi pare lineare, ma comunque curioso. 
Pochi, o più facilmente nessuno dei miei lettori saranno in grado di localizzare con esattezza il Torrione dell'Abete. Eppure si tratta di un campanile abbastanza individuato e dotato della sua quota altimetrica precisa (2366), che si scorge bene dai rifugi delle Cinque Torri e dalla Val Formin. 
Quel torrione si trova subito a nord della Cima Bassa da Lago: per vederlo, bisogna però localizzare prima la Cima Bassa, altra vetta ben poco nota e ancor meno salita. 
La  Croda da Lago dal versante nord, in una cartolina del 1910.
Il Torrione emerge subito a destra della conifera (raccolta E.M.)
In ogni modo, la vicenda della cima prese avvio poco meno di cinquant'anni fa e si concluse in due estati. Il Torrione dell'Abete, infatti, fu scalato per la prima volta da O, e forse battezzato nell'occasione, da due alpinisti veneziani avvezzi a pionieristiche esplorazioni nei recessi più nascosti dei nostri monti, alla fine di giugno del 1968. 
La loro via, di difficoltà contenute, ebbe un seguito il 6 novembre dell'anno successivo, quando sulla sommità del Torrione mise piede Franz Dallago, uno dei rari (forse l'unico) ampezzano che lo conosce, giacché pure chi scrive, una volta tanto, sa della cima solo dalle fonti e dalle carte. In quell'occasione, la guida accompagnava due clienti su un nuovo itinerario di difficoltà medie da SO, che incrocia quello dei veneziani. 
E' agevole pensare che l'oronimo della cima sia stato tratto da una o più conifere presenti in vetta, così come accadde per la Torre del Barancio, la mediana del trio che forma la seconda torre d'Averau, battezzata nel 1912 dalla guida Zaccaria Pompanin poiché è ornata sul sommo da un ciuffo di mughi. 
La questione dell'abete, del nome e della via mi sarebbe piaciuto magari chiederla al primo salitore, purtroppo già scomparso, e così la curiosità rimane inappagata.

18 ott 2016

Sulla Pala Perosego, prima che venga l'inverno

La Pala Perosego è il rilievo più marcato del regolare crestone che - sull'insellatura di Sonforcia - unisce la turrita dorsale del Pomagagnon al gruppo del Cristallo. 
Mentre verso Cortina mostra una parete e uno spigolo di un centinaio di metri d'altezza, visibili dal centro del paese, a nord - verso Val Granda - il punto culminante è difeso da una paretina non più alta di una quindicina di metri, che si supera piuttosto facilmente ma su roccia mediocre. 
Sulla Pala giunsero quasi certamente fin da tempi remoti i cacciatori locali, e durante la Grande Guerra, ai piedi delle balze a settentrione, gli italiani apprestarono un piccolo posto di vedetta e controllo del fronte del Cristallo. 
La cima è entrata nella storia dolomitica nel 1968, quando Diego Valleferro ne superò con Mario Dimai lo spigolo S, su difficoltà di VI. Nonostante la Pala sia ignota alla massa e la sua roccia di certo non marmorea, anche la parete S del monte ha attratto gli alpinisti: gli Scoiattoli Raniero Valleferro e Alberto Dallago (1973), i Ragni di Pieve di Cadore Marco Bertoncini, Isidoro Soravia, Luigi Ciotti e Marco Ceriani (1977) e infine Eugenio Cipriani con un compagno (1995), che la salirono in tre punti diversi, lungo tracciati con difficoltà dal III al VI+, presumibilmente poco ripetuti. 
Alla base della paretina che dà accesso
alla cima (foto E.M.)
Affiancata dall'appuntito Campanile omonimo, alto un centinaio di metri e salito nel 1955 dagli Scoiattoli Franceschi e Bellodis con Elio Valleferro, la Pala rappresenta un piccolo mondo a sé. Poco lontana dalla bagarre degli impianti del Cristallo, posta tra canaloni detritici, rocce sfaldate, ripide pale erbose un tempo animate dai contadini e oggi soltanto dai camosci, non ha certo la pretesa di inserirsi tra le Dolomiti più alla moda. 
Ma un po' suggestiva lo è, ed a me è occorso di salirla quattro volte, lasciandovi nel settembre 2000 un quaderno che - prima di essere distrutto per due volte di seguito, dalla violenza del tempo o forse dalla sbadataggine - registrò i nomi di una sparuta schiera di appassionati, alla ricerca di quanto la cima e i dintorni donano a piene mani: il silenzio.

15 ott 2016

Sulla "Via delle Guide", classica salita delle Cinque Torri

Certamente a molti di coloro che vanno in roccia interesserà ben poco sapere perché quella si chiami Cima Ovest (della Torre Grande d'Averau), chi erano (Piero) Dallamano e (Renato) Ghirardini che per primi ne salirono la parete ovest e sui monti di Cortina aprirono anche altre vie, e perché quella sulla Torre Grande è nota come “Via delle Guide”. 
Non ha mai interessato più di tanto neppure a me, fino ad una certa epoca. Si dice che spesso, quando un alpinista scende dalle montagne, inizia a scrivere (e a farsi domande): per me è stata proprio così. Ho salito per l'ultima volta la Via delle Guide ormai tanto tempo fa, e soprattutto dai primi anni 2000 mi è venuta voglia di approfondire gli aspetti, anche minimi, della storia di tante vette e vie sulle quali a suo tempo mi divertii con gli amici. 
Classico scorcio della Torre Grande d'Averau:
dalla sommità del trangolo verde inizia la "Via delle Guide"
(foto E.M., 27.VI.2009)
Questa in particolare, scelta spesso dalle guide con i clienti perché comoda e soleggiata, sale sulla Cima Ovest per la parete fronteggiata dal Rifugio Scoiattoli. Essa fu aperta dai giovani mantovani Dallamano e Ghirardini il 15.VII.1930: essi non erano comunque i primi a calcare la sommità della minore delle tre cime di cui è composta la Torre Grande. 
Giusto un anno prima, il 15.VII.1929, Enrico Lacedelli - giovane guida e maestro di sci - aveva infatti superato con i paesani Olga e Rinaldo Zardini il diedro nord-ovest, un centinaio di metri di roccia liscia e difficile, su cui rimane il nome della sportivissima Olga. 
Piero e Renato non immaginavano certo che la loro salita di quasi novant'anni fa sarebbe divenuta una delle più apprezzate delle Cinque Torri. Poco lunga e di difficoltà limitata, d'accesso e rientro comodi soprattutto da quando il rifugio e la seggiovia le sono praticamente davanti, la Via delle Guide gode sempre di un buon credito, e non passa giorno d'estate in cui non vi si scorga una cordata impegnata su un bel 3° grado dolomitico. 
La ricordo con piacere, e siccome dall'ultima volta che la visitai sono volate via ormai diverse stagioni, quei ricordi mi hanno portato a indagarne “il perché e il come”.

11 ott 2016

Traversando Forcella Valun Gran con una capra

Oltre trent'anni fa, durante una gita con gli amici, godemmo di una  compagnia singolare, quella di una ... capretta. Di quel 20 giugno 1981 ho ritrovato da poco la sola fotografia che possiedo, in cui mi rivedo accanto alla bestiola, sotto il nevischio incipiente.
La gita che avevamo ideato consistette nella salita da Ra Stua a Fodara Vedla, e nella prosecuzione sulle tracce che rimontano il Valun Gran fino all'omonima forcella. Dopo un'opportuna sosta, dal valico scollinammo verso la meno alta, ma altrettanto aspra Forcella Camìn, dalla quale per le Ruoibes de Inze scendemmo al Cason de Antruiles per ritornare infine al parcheggio di Ra Stua. Si trattò di un inedito anello, ripreso molti anni dopo da una rivista del settore, in un ambito che oggi si trova a cavallo di due Parchi ed è rimasto solitario e ambientalmente prezioso.
Forcella Valun Gran, 20.6.1981, con Cinzia, Enrico L.,
Federico, Michele (raccolta E. Majoni)
La nota originale fu la capra marrone e bianca che, sottrattasi al controllo del pastore, ci seguì da Fodara fino a Ra Stua, per quasi tutto il giro. Ricordo che il ghiaione del Valun Gran era ancora in parte innevato. Il caprino se la cavò comunque con onore, ma scendendo per il canale che dà su Forcella Camìn, le pietre gli procurarono qualche ferita alle zampe: fu commovente veder trottare la nostra compagna di gita, lasciando - un passo sì e uno no - gocce di sangue nei detriti!
Non fu comunque l'unica mia camminata in compagnia di animali: già alle Medie ne avevo fatte con Nigritella, il cagnolino dei miei cugini, e nel 1974 salii anche una ferrata con un gatto. Quel 20 giugno, la capretta ci offrì la sua presenza per l'intera giornata, si lasciò coccolare e fotografare senza problemi e, una volta risaliti a Ra Stua, sparì di colpo tornando alla sua vita in quota.
Non dubitammo che l’istinto le avesse fatto ritrovare subito la via di casa: oggi ricordo con piacere quella gita così originale, in cui non fummo certamente in grado di dialogare con la nostra partner, ma capimmo cosa significa “arrampicarsi come le capre” sulle instabili ghiaie del Valun Gran dove noi, cinque ragazzi sui vent'anni, faticammo di sicuro più della bestiola...

10 ott 2016

Forcella Sonforcia de Col Jarinei, uno dei luoghi più suggestivi d'Ampezzo.

L'insellatura denominata, quasi tautologicamente, Forcella Sonforcia (de Col Jarinéi, per non confonderla con l'omonima situata nel gruppo del Cristallo) si trova nel gruppo della Croda da Lago, a est del Becco di Mezzodì, e raggiunge quota 2069 m. 
Di proprietà della Regola Alta di Anbrizòla, è un largo valico di verde pascolo, sul crinale che dalla Rocchetta di Prendera si allunga verso nord. 
La forcella funge da passaggio, quasi più frequentato dal bestiame in transito dalla Monte de Federa che da esseri umani, fra la testata della Val Federa - ossia il pascolo della Monte de Col Jarinei - e la Val d'Ortié. 
Poco distante dalla forcella, qualche anno fa il coetaneo Carlo, già scalatore e poi appassionato cacciatore, ha ricostruito, su un antico sedime, un piccolo capanno di legno, per sostarvi soprattutto durante le battute di caccia nella zona. 
Dalla forcella verso l'Antelao e la Rocchetta di Cianpolongo
(C. Bortot, 5.9.04)
Il luogo è così rilassante che, salitovi in una bella domenica d'ottobre (non certamente quella di ieri, in cui la neve è scesa ben più in basso della forcella), mi fu naturale stendermi sul prato e godermi a lungo il panorama verso le Rocchette, che chiudono lo sfondo da un lato, e poi rigirarmi dall'altro, per ammirare una visione inusuale della conca ampezzana. 
Per la forcella passa un sentiero segnalato e abbastanza poco noto, che non patisce certo di affollamento; se per caso folla ci fosse, sarà composta in prevalenza di appassionati locali. 
In tanti anni vi sono arrivato una quindicina di volte, perlopiù in salita e discesa dalla soprastante Rocchetta de Cianpolongo, e giudico senz'altro la Forcella Sonforcia de Col Jarinei uno dei luoghi più suggestivi della valle d'Ampezzo.

2 ott 2016

La Cima Falzarego, una meta per l'autunno

Dieci anni fa, la prima domenica di ottobre del 2006, in virtù di un suggerimento trovato nel web, aggiungevo con soddisfazione al mio "carnet" una delle - oso dire - ormai pochissime crode ampezzane accessibili agli escursionisti che ancora mancava: la Cima Falzarego. 
Situata nel gruppo di Fanes a sud-est di Forcella Travenanzes, la Cima porta un nome di derivazione alpinistica, datole probabilmente dopo l'ascensione della parete ovest, che guarda la Strada delle Dolomiti e sulla quale, all'inizio di agosto del 1909, si misurarono Guido e Max Mayer con le guide Angelo Dibona e Luigi Rizzi (a proposito: ci sarà qualcuno, fra chi legge, che abbia ripercorso questa via semi-sconosciuta del grande quartetto?).  
Sul versante nord, affacciato sulla Val Travenanzes, il monte si configura come un dosso arrotondato di rocce e detriti multicolori, e dalla forcella citata si sale in breve e senza problemi. Sugli altri versanti cade con pareti di discreta altezza, solcate da vie mai divenute di moda. 
Verso ovest, dalla Cima si diramano le due Torri Falzarego, rinomate per le vie di salita su salda dolomia, lungo le quali si sono cimentate, e ancora si cimentano, migliaia di appassionati di scalate nelle Dolomiti. 
Cima e Torri Falzarego,
in una cartolina d'epoca (raccolta E.M.)
Teatro di combattimenti durante la 1^ Guerra Mondiale, sulla sommità e sui fianchi della Cima Falzarego non mancano resti di gallerie, postazioni e trincee. Conoscendola vagamente, fino a quella domenica d'ottobre pensavo che essa fosse poco considerata da chi cammina. Invece in quel frangente, sulla vetta, che allunga verso la Strada delle Dolomiti un comodo plateau di rocce e magro pascolo, pieno di dossi e avvallamenti sforacchiati dalle esplosioni e ornato di varie croci, a goderci il pallido sole eravamo una quindicina.

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...