20 feb 2019

L'appiglio risolutivo della Fessura Dimai

La Torre Grande d'Averua, con il rifugio Cinque Torri
(foto Ghedina, 1929 - raccolta E.M.)
La storia dell'alpinismo, in questo caso ampezzano, contiene alcuni caratteristici oronimi dialettali, perlopiù sconosciuti ai vocabolari della parlata locale e a molte fonti sull'argomento - a partire dalla guida delle Dolomiti Orientali di Antonio Berti - e tramandati soltanto in forma orale da chi ha frequentato e frequenta determinate cime e itinerari. 
Uno degli oronimi è «el secèl», voce che corrisponde all'acquasantiera («el secèl de r aga sènta»). L'oronimo ha circa novant'anni e si riferisce a un appiglio concavo che si trova lungo la via che solca la parete est della Torre Grande d’Averau - Cima Sud, aperta il 31 agosto 1932, sotto la pioggia incombente e in sole due ore, dalle guide Angelo e Giuseppe Dimai Déo e Celso Degasper Meneguto. 
La via, battezzata Fessura Dimai-Degasper, è conosciuta anche con l'oronimo di origine tedesca «el Ris»: sale verticalmente per 120 metri su una parete compatta e sempre esposta, con difficoltà valutate VI inf., e grazie anche al comodo accesso, fin dall'apertura fu apprezzata dai più ardimentosi. 
La prima ripetizione della Fessura, infatti, si fece attendere soltanto diciotto giorni. Il 18 settembre 1932, i secondi salitori furono Emilio Comici, Ernani Faé di Belluno e Fosco Maraini. Il giorno dopo la via fu salita da altri tre personaggi, l'agordino Attilio Tissi, Domenico Rudatis di Alleghe e il Barone Carlo Franchetti. La quinta salita, il 27 settembre, che fu pure la prima femminile, spettò alla statunitense Jane Tutino Steel, con Comici e Lucien Devies. Il 13 ottobre 1932, quarantatré giorni dopo la prima, sulla Fessura Dimai-Degasper si registrava la decima visita, ultima della stagione, per merito delle giovani guide ampezzane Enrico Lacedelli Melero e Giovanni Barbaria Zuchin.
L’appiglio, che permette di superare uno strapiombo duro ed esposto della fessura, ha proprio la forma del secchiello dell'acqua benedetta, un tempo presente nella maggior parte delle case di Cortina, di solito sulla parete della "stua". E sicuramente il nome glielo diede un ampezzano.

3 feb 2019

Punta Nera, una grande passione

Tanto nera, proprio non mi pare: la sua dolomia, in gran parte sfasciata e pericolante, è grigia con qualche intrusione giallo-rossastra, soprattutto presso la vetta, sbrecciata dai fulmini. Dunque, per quale strana ragione la cima più alta della Diramazione Ampezzana del Sorapis, fin da tempi antichi porta il nome di Punta Nera? Dovremmo chiederlo agli studiosi di toponomastica!
Molto tempo fa, passando una domenica sul sentiero che da Faloria raggiunge il solitario Ciadin del Loudo, me la indicò mio padre, e il nome mi fece una certa impressione: era una giornata nuvolosa, l'ambiente lassù - in condizioni di tempo sfavorevoli - è piuttosto tetro, e così per decenni ebbi la sensazione che la Punta nascondesse qualcosa di oscuro. 
In realtò, e lo capii nella prima salita il 30.8.1987, dopo aver lasciato i miei compagni di escursione Sisto e Paolo (frenati dalla paretina iniziale) sulla sella ai piedi della cresta, di oscuro la Punta non ha alcunché
La Punta Nera e la Croda Rotta, da Forcella Faloria
(foto E.M., luglio 2012)
È una montagna di cui ho scritto spesso e che conservo nel cuore. Questa volta desidero ricordare alcune persone che vi hanno legato il nome: Alessandro Lacedelli "Sandro da Melères", cacciatore e guida (primo a giungere in vetta da solo prima del 1877, forse inseguendo un camoscio); Zaccaria Pompanin "de Radéschi" (che ai primi del ‘900 aprì sulla Punta una via nuova, di cui il pronipote H. Mutschlechner ha trovato testimonianza nel libretto di guida); Federico Terschak e Isidoro Siorpaes (che salirono per primi la lunghissima cresta sud, il 10 agosto di cento anni fa); Giorgio Brunner di Trieste (che scalò per primo la "Nera" da solo e d’inverno, il 27.2.1941); l'amico Giulio Lancedelli "Iéza" (salito a 79 anni, portando lassù il primo libro di vetta); Mario Crespan (che il 26.7.2008, con sua moglie Paola e altri tre amici, collocò in cima il secondo libro, forse ancora presente). 
Altri uomini e donne protagonisti di quasi un secolo e mezzo di storia della Punta, non mi pare ce ne siano: immodestamente mi ci metto anch'io, visto che in un ventennio ho calcato la friabile vetta per sette volte, metà delle quali in «beata solitudo». Se non è passione, questa!

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...