28 set 2015

Il Corno d'Angolo, arena della solitudine

Già guardando da sud, dal ponte che scavalca il Rudavoi sulla strada tra Cortina e Auronzo, il Corno d’Angolo si mostra abbastanza ardito e fotogenico. 
Se lo si osserva invece dal Cason de Pousa Marza, graziosa baita di proprietà regoliera che sorge alle sue pendici, in un piccolo pascolo fra le crode, lo scorcio è ancora migliore: la prospettiva legittima il nome datogli in tempi non antichissimi, anche se mi sarebbe parso più corretto “Corno de Pousa Marza”, poiché la cima vigila sul pascolo omonimo come un'enorme sentinella di dolomia 
Ernesto in cima
(foto A. C., agosto 2004)
Da nord, infine, ossia dal catino di magro verde, ghiaia e massi dove andava a caccia il grande Michele Innerkofler e che dalla sella dell'ex Rifugio Popena si spinge fra le crode fin quasi al Passo Popena, il Corno appare mansueto e la salita, non troppo nota né battuta, presenta ben pochi problemi per l'alpinista esperto. 
Da questo lato, deboli tracce e qualche ometto lungo placche e scaglie inclinate guidano in vetta. Dal termine del catino, si risolve tutto in circa un quarto d’ora, non troppo impegnativo ma che richiede un po' di attenzione per la friabilità. 
Il Corno ha una storia breve. 82 anni fa, un alpinista tracciò la prima delle tre vie che si contano sulle sue pareti. Era un personaggio illustre, Emilio Comici, che il 20 settembre del '33 superò con Sandro del Torso il giallastro spigolo sud, lasciando scritto che sul tracciato aveva trovato passaggi “friabili e pericolosi, perché difficilmente i chiodi tengono” … 
Giunti sulla sottile, un po' instabile sommità, il panorama che si apre dal Piz Popena verso le Marmarole, dai Cadini di Misurina verso le Tre Cime e più lontano, è motivo di una certa emozione per chi calpesti le pietre più elevate. 
Colpisce la serenità di quelle pareti e di quelle guglie dimenticate, di quel culmine solitario dove noi, amanti dei recessi appartati e poco attratti per abitudine da zone “più di moda”, ci siamo avventurati diverse volte, godendo sempre del Corno d'Angolo con soddisfazione.

23 set 2015

Il Diedro Mazzorana, in un nebbioso sabato autunnale

È trascorso ben oltre un ottantennio dal 23 settembre 1931, giorno in cui Piero Mazzorana (un ragazzo di Longarone emigrato coi familiari in Auronzo, dove mise su casa, fu promosso guida alpina e poi condusse per 25 anni il grande rifugio sotto le Tre Cime), saliva da solo verso la parete est del Monte Popena (o Popena Basso), la cupola immersa nei mughi che domina in destra orografica il Lago di Misurina. 
Nelle sue scorribande Piero – già autore di qualche via nuova sui monti del Cadore - aveva intravisto una possibile linea sul Monte: un diedro fessurato che sale a sinistra degli strapiombi caratteristici della parte orientale della parete. 
Risalì di slancio il diedro superando difficoltà fino al quarto grado, forse senza neppure lasciare traccia del suo passaggio; ne uscì un breve itinerario, che negli anni successivi avrebbe guadagnato un meritato successo. 
La "via Mazzorana a sinistra degli strapiombi gialli”, presenta un interessante sviluppo di circa duecento metri, su una dolomia solida e articolata, e garantisce una salita di mezza giornata, piacevole e rilassante. 
Ernesto sulla prima cordata del Diedro Mazzorana
sul Monte Pooena, 3.9.84 (foto M.N. Petrucci)
Giusto mezzo secolo dopo Piero Mazzorana, che una volta in pensione era andato a vivere a Merano, dove morì all'improvviso nella primavera del 1980, in un nebbioso sabato d'ottobre Ernesto conobbe per la prima volta quel diedro del Monte Popena, con Federico, Andrea e Nadia.
La via lo divertì molto, anzitutto per il contesto ambientale nel quale si trova, poi per le difficoltà senz'altro alla sua portata, e infine per la caratteristica uscita su una vetta verde e silenziosa, dalla quale un tranquillo vagabondaggio fra abeti, larici e mughi riportò il quartetto a Misurina, per la sospirata birra finale. 
Da allora, Ernesto tornò sul diedro almeno per altre tre volte, avendo sempre negli occhi lo slancio del ventenne auronzano che, il primo giorno d'autunno del lontano 1931, aveva sfiorato da solo quegli appigli, scrivendo una nuova pagina di storia della falesia di Misurina, scoperta qualche anno prima da un altro ventenne, "matto per le crode": Severino Casara.

17 set 2015

Cinque volte sul Cristallo, una montagna stupenda

Domenica 27 settembre, autunno permettendo, il Cai di Cortina – supportato da guide alpine, volontari del Soccorso Alpino e Scoiattoli - ha previsto una salita di gruppo del Cristallo per ricordare il 150° della prima ascensione, compiuta da Paul Grohmann con le guide Angelo Dimai Deo e Santo Siorpaes Salvador il 14 settembre 1865. 
Apro il cassetto dei ricordi. Son volati quasi vent'anni da quando tornai sul Cristallo per la quinta e ultima volta! Osservandolo oggi e facendoci un pensiero, talvolta mi sembra persino di non esserci salito a sufficienza, perché ritengo che - tra le grandi montagne d'Ampezzo e dintorni - per un appassionato il Cristallo sia senza dubbio la più completa e stimolante, anche se per nulla banale.
Toccai la cima per la prima volta il 13 settembre 1980, 115 anni dopo Grohmann: del trio di quel giorno ero il più grande, ed ero appena ventiduenne. Data la giovinezza e quanto essa si porta appresso, mi parve una gita tutto sommato poco difficile, ma mi entusiasmò talmente che, giunto a casa, la esibii con orgoglio per giorni a parenti ed amici.
Ero di nuovo lassù poco meno di un anno dopo, al termine di una stagione di salite con Mario; passò poi una decina d'anni fin quando, un 1° settembre, la nebbia e il freddo ci negarono persino una breve sosta sulla cima e la firma del libro di vetta. Sceso al Passo del Cristallo, preso dalla fame tentai di sbucciare un’arancia: ma era dura come il vetro, e così, dopo tutta quella fatica, mi toccò saltare il pranzo. La giornata gelida rimase comunque nel cassetto della memoria, per tutti i partecipanti.
Cristallo (a sin.) e Piz Popena, dalla Monte de Faloria,
agosto 2003 (foto E.M.)

Il Cristallo mi accolse per la quarta volta intorno a Ferragosto del 1991; quel giorno, scendendo lungo il ghiaione, il più giovane di noi fece una capriola che avrebbe potuto avere risvolti molto seri, ma che liquidammo con la spensieratezza di quei tempi. Completai infine la cinquina in bellezza con Prini e Trevisan, nell'agosto del 1996.
Dal Passo Tre Croci (più che dimezzando la tempistica di Luca Visentini, che nella sua guida del Gruppo - Edizioni Athesia, 1996 - indica in media 6,30 ore solo per la salita) corremmo sul Cristallo in 2 ore e 55 minuti: 1 ora e 50 per i milletredici metri del ghiaione che sale al Passo e un'ora e 5 per i trecentonovantaquattro di roccia della normale, percorsi senza neppure un cordino nello zaino. Volammo anche in discesa, perché da Germano a Son Zuogo la birra aspettava impaziente, e quel giorno portai a casa un "primato" indimenticabile.
Quando guardo il Cristallo, soprattutto al tramonto, oggi gongolo pensando che ne ho potuto toccare la vetta per cinque volte e ricordo ancora bene molti frammenti delle mie visite a una delle più belle montagne della mia valle.

13 set 2015

La "Baracca Dibona", un bivacco mancato

Nella conca di Cortina, tanto più nella zona vincolata ormai da un quarto di secolo a Parco Naturale, oggi è quantomeno inopportuno pensare a nuovi rifugi o bivacchi fissi. 
Settant'anni fa, l'idea era fattibile; alla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, la Sezione del Cai Cortina discusse la proposta di due famiglie lombarde, di dedicare un bivacco fisso nelle Dolomiti ai congiunti Carlo Valli e Nando Grandori, caduti sulla Via Solleder in Civetta. 
Il sito individuato per la costruzione era il Passo del Cristallo, valico sul crinale principale del gruppo, fra il Cristallo e il Piz Popena, che attraverso il vallone detritico di "ra Zerijeres" unisce il Passo Tre Croci al ghiacciaio della Valfonda. 
Il Passo, molto noto agli alpinisti dell'epoca pionieristica, è fondamentale per traversare – un tempo soltanto d'estate, oggi perlopiù con gli sci – da Tre Croci a Carbonin, e per salire la cima principale del Cristallo. 
Il bivacco Valli-Grandori però, alla fine non fu costruito; al suo posto ne sorsero due sulle Alpi Retiche. Non sarebbe stato un edificio del tutto nuovo, perché si prevedeva di sistemare una piccola caserma militare italiana, la Baracca Dibona (non ho verificato se abbia un collegamento con la nota guida alpina ampezzana che, comunque, durante la guerra non era di stanza in zona), incastonata nelle rocce del Popena un po' sotto il Passo e oggi diroccata. 
Il gruppo del Cristallo dal Lago di Landro, col Passo in vista
(cartolina del 1910 circa, raccolta E.M.)
Il Cai Cortina, guidato al tempo dall'Accademico e scrittore Bepi Degregorio, era propenso alla cosa, perché nella zona non c'erano strutture e il Cristallo era certamente più frequentato di oggi. 70 anni dopo, la situazione si è quasi ribaltata: nel gruppo ci sono impianti, rifugi e ferrate, ma le salite alle cime storiche si sono comunque rarefatte e molte vie non vengono più percorse per le solite cause che hanno modificato l'alpinismo: l’isolamento delle pareti, la lunghezza degli accessi, l’ambiente severo, la roccia spesso malsicura... 
Più di recente, emerse di nuovo l'idea di ripristinare la Baracca Dibona per dedicarla a Giuliano Girotto, scialpinista veneziano travolto da una valanga nell'aprile 1989 sotto il Passo del Cristallo. Anche quel proposito però cadde, e i ruderi della piccola caserma italiana rimangono là, come un nido d’aquila a quasi 2800 m di quota, testimoni di un tragico periodo storico e di un'idea caduta nel vuoto.

4 set 2015

Intorno al Casón del Macarón

Saliti rapidamente in macchina, sforzando sui pedali in MTB o, più escursionisticamente, a piedi al Lago d’Aial - da Campo di Sotto, Mortisa o Ra Sapada presso Pocol - si può ampliare l'orizzonte con due passi negli scuri boschi di Federa, di valore ambientale e storico.
Si tratta della strada boschiva, purtroppo segnata dalle recenti precipitazioni, che inizia a pochi passi dl rifugio sulla sponda del lago e, ristretta a sentiero, sale poi ripida col segnavia 431 al Lago di Federa e al Rifugio Croda da Lago. 
Dopo circa mezz'ora, la strada tocca il Casón del Macarón (1484 m). La già fatiscente capanna di legno usata dai boscaioli impiegati nella zona, fu riedificata qualche anno fa in muratura, è di proprietà regoliera e viene destinata alla fruizione turnaria da parte dei Consorti. 
Presso il Casón ci accolgono un provvidenziale "brento", dal quale zampilla sempre acqua freschissima, e due crocifissi campestri. Il più antico è la Crosc del Macarón, alzata in anni lontani nel piccolo areale paludoso al margine del sentiero e ai piedi della torva - ma panoramicamente meritevole - torre nerastra del Bèco d’Aial, su una particella boschiva della Regola di Campo. 
La Crosc del Macaron 
(foto E. Majoni, 24/7/08)
Il toponimo si riconnette al fatto (accaduto in un momento storico impallidito nel tempo) che in quella radura sarebbe stato rinvenuto un uomo, ferito o addirittura morto, forse un disertore. La scrittrice Lorenza Russo, più prosaica, suppone invece che fosse stato semplicemente il pastore degli ovini di lassù, sorpreso da un fulmine mentre attendeva al suo gregge. 
Chiunque fosse il defunto, in ricordo del fatto un'anima pia pose la croce, riattata non tantissimo tempo fa se non altro per mantenere il toponimo. 
Di questo, che dalla croce si è espanso anche al grazioso Casón, è quantomeno interessante sapere la genesi. Nel parlare d'Ampezzo la voce “macarón”, di probabile derivazione greca e giunta quassù attraverso la lingua di Venezia, vale per “sciocco, sempliciotto”. 
E uno sciocco, un sempliciotto, o forse soltanto un pover'uomo solitario, fu quello che trovò la morte su quel prato spesso intriso d'acqua, in un lontano giorno di tanti secoli fa.

1 set 2015

Il Pian de Socroda, oasi di nostalgia

A quota 1950 m nel gruppo della Croda Rossa, a circa un'ora dalla spianata di Cianpo de Crosc, se ne apre un'altra, più piccola e raccolta: il Pian de Socroda. Situato ad est e "sotto la croda" da cui prende nome il gruppo montuoso, è una radura di magro pascolo con qualche mugo; si estende ai piedi del pulpito roccioso che sorregge la Val Montejela e rientra nell'antica proprietà della Regola Alta di Larieto. 
Ricco d'acqua, il Pian de Socroda dà i natali a due sorgenti, le cui acque si gettano nel Ru de ra Cuodes, affluente di quello che presso Pian de Loa diventerà il Boite. Il luogo è piacevole dal punto di vista ambientale, ma purtroppo un po' eroso nella parte alta dalle ghiaie che ruscellano dai dirupi soprastanti. Non ho tenuto il conto delle visite che gli ho fatto negli anni, sia in salita sia in discesa, ma sono certo di non aver incontrato spesso rumorose compagnie... 
La parte alta del Pian de Socroda,
erosa dalle ghiaie (foto www.ilpalo.ner)
Socroda si raggiunge per strada forestale da Ra Stua-Cianpo de Crosc, oppure da Lerosa traversando per tracce di bestiame (tizoi) segnalate anni fa.
Ci si transita poi scendendo dal famoso "Sentiero 0", oggi ufficialmente chiuso, che iniziava dalla Crosc del Grisc e, passando presso la Madonna della Solitudine, portava su al bivacco Pia Helbig Dall'Oglio in Val Montejela, smantellato - non senza qualche critica - nell'autunno 2013.
Il Pian de Socroda, parte del "cuore antico" del Parco Naturale delle Dolomiti d'Ampezzo, è una radura più popolata dal bestiame che si sposta da Ra Stua che dagli escursionisti, e custodisce anche una memoria storica. 
Vi passarono infatti, forse primi alpinisti, Grohmann, la guida Fulgenzio Dimai detto Jènzio Deo e il cacciatore Angelo Dimai Pizo. Nell'estate 1865, i tre avevano pianificato la salita dell'inviolata Croda Rossa dal versante NO, ma sfortunatamente il tentativo fallì ad un passo dalla vetta, lasciando la primogenitura della Croda alle guide Santo Siorpaes Salvador e Christian Lauener con Whitwell, il 20 giugno 1870. 
Oggi, oltre agli escursionisti, passano ancora per il Pian i rari appassionati che mirano a salire la Croda Rossa dalla Val Montejela, seguendo l'accesso di Grohmann: soprattutto in autunno, la radura è un'oasi nostalgica, in cui si percepisce ancora un'aura d'altri tempi. Quanti meravigliosi doni ci ha fatto la natura!

Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria

Ernesto Majoni e Roberto Vecellio, Sachsendank 1883 Nuvolau 2023. 140 anni di storia e memoria , pp. 96 con foto b/n e a colori, Cai Cortina...