Verso la metà degli anni '60, mio padre ricevette l'incarico di "Marigo" della
Regola Alta di Lareto; per questo, tra giugno e settembre,
doveva salire spesso sull'Alpe di Lerosa, per verificare col pastore la
situazione e gli eventuali problemi e necessità del pascolo e del
bestiame.
Nell'estate
1965, e forse anche in quella successiva, salimmo dunque lassù quasi ogni domenica, rigorosamente a piedi dal curvone di Podestagno, dove riuscivamo a farci scaricare dal benevolo autista della linea Cortina-Dobbiaco: io avevo solo sette anni, ma ricordo una sensazione strana: che la
valle d'Ampezzo fosse tutta chiusa lì, tra Ra Stua, Lerosa e Gotres!
Lassù
alla baita che serviva d'appoggio al pascolo conobbi il pastore, un bel tipo poco più che quarantenne che si chiamava Francesco e veniva da Arina, un paesino del basso Bellunese che ancora oggi non conosco, e la sua famiglia.
Con
quale stupore, e senza capire il perché, il pastore mi disse che non poteva
mangiare zucchero, e per questo aveva sempre al seguito una scatoletta di
saccarina!
Aveva accanto la moglie, di cui ho dimenticato il nome ma ricordo bene che era “bianca e rossa come un
pomo” e quando scendeva a Cortina ci portava i panetti
di burro coi fiorellini, e quattro figli: Teofilo, Gianna, Antonio e
Luciano. Vivevano tutti insieme nel ristretto ambiente del Cason per
l'intera estate, sempre a contatto con il bestiame, il sole, il
vento, la luna, la neve, la pioggia. Confesso che un pochino li invidiai davvero!
L'Alpe di Lerosa con la sua baita (photo courtesy G. Mendicino, archivio LDB) |
Mi
sovviene di aver seguito un giorno Teofilo, che aveva forse undici anni ma era ormai un aiuto pastore navigato, lungo la Val di Gotres fin
quasi alla Statale d'Alemagna, per recuperare una manzetta sfuggita dal pascolo; rivedo
le bottiglie verdi col latte che i ragazzi usavano per catturare
le vipere, le cui teste allora venivano compensate dal Comune con 500 lire
l'una; ricordo la confidenza con cui Antonio e Luciano giocavano con le mucche, infilando le dita nelle loro narici umide...; mi pare
di risentire ancora le chiacchiere dei grandi,
riflesso di un'epoca più semplice, ormai del tutto tramontata.
Al termine dell'incarico, che durò qualche anno, la famiglia scese nella Pedemontana trevigiana per gestire un'attività commerciale, e laggiù uno dei due ragazzi
più giovani morì in un incidente stradale.
Chissà se gli altri familiari sono ancora tra noi, dove vivono, se si ricordano delle estati trascorse in
Lerosa, abitando e lavorando sui “pascoli del dio Manitù”, come
aveva battezzato l'Alpe il compianto amico giornalista Mario Caldara...