7 mag 2013

Il “Trói del Jandàrmo”, tra leggenda e storia


Non so se risponda a verità o sia solo una leggenda (di quelle che facevano la gioia di scrittori come Casara, Degregorio e altri), l’origine del cosiddetto “Trói del Jandàrmo”, il “sentiero del poliziotto”.
E' quello che unisce Ciànpo de Crósc, poco oltre il Brite de Ra Štua, con Rudo de Sóte (Fodàra Védla): fino ad una ventina d’anni fa era quasi ignoto, e in seguito è stato riportato sommessamente “alla luce” dal Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo. 
Da quanto sono riuscito a sapere, l’apertura di quel sentiero anticipò di molto la costruzione della carrareccia militare che da Ciànpo de Crósc rimonta con ampi tornanti la pendice boscosa che scende dalle pendici delle Lavinòres, valica il confine Ampezzo - Marebbe e porta a Fodàra Védla e poi verso Sennes, o Rudo de Sóra. 
Anticamente un poliziotto, finanziere o doganiere, abitava in Marebbe ma prestava il proprio servizio a Cortina. Dovendo andare e tornare, forse con cadenza quotidiana, dal lavoro e non esistendo probabilmente all’epoca un valico agevole attraverso la Mónte de Rudo, costui studiò un percorso tra alberi e rocce, dai Órte de Ra Štua fin quasi al lago di Rudo. 
Quel tracciato consentì, a lui e poi ad altri, di superare lungo la direttrice meno lunga e complessa possibile l'accidentata e selvaggia fascia che si estende tra Ra Štua e Fodàra Védla, sveltendo la marcia da e verso casa. 
Fodara, con la carrareccia militare
che sale da Ra Stua (photo: courtesy of skiforum.it)
Oggi il sentiero è quasi come poteva essere secoli fa: mi risulta indicato soltanto dai segni di vernice che bastano a non fare confusione, individuando due strettoie rocciose attraverso le quali bisogna passare e l’inizio del tracciato presso Fodàra; lungo il percorso, gli ometti di pietre sono radi e gli animali del bosco e delle crode pascolano indisturbati. 
Da alcuni anni più di qualche escursionista, locale e non, conosce il sentiero, non indicato né reclamizzato in alcun luogo. Non va percorso di certo per passare più rapidamente da Ra Štua a Fodàra, ma credo - ed è quello che ho sempre fatto – soltanto per il gusto d’immergersi in un ambiente splendido di acque, cespugli, conifere, detriti, macigni, mughi, dove l’uomo s’intromette in punta di piedi. 
Un paio di metri di roccia, dove la leggenda afferma che, un tempo, una scaletta di legno agevolasse il passaggio, si superano mediante una radice che fa da appiglio: ma quando la radice non ci sarà più?

3 commenti:

  1. e quando la radice non ci sarà più, spero che il Parco non decida - con i fondi europei - di farci una strada e magari asfaltarla...
    besitos

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  2. Da questo punto di vista mi sentirei abbastanza tranquillo. Tempo fa avevo letto che la politica del Parco era quella di sottoporre a manutenzione solo i sentieri principali e di lasciare liberi gli escursionisti avventurosi di cimentarsi in percorsi alternativi. Spero non sia cambiata. Piuttosto non vorrei che comparissero come in Svizzera e da noi in Vallunga quei brutti cartelli che intimano di non uscire dai sentieri battuti o per lo meno che questi restino come deterrente ai "gitaioli della domenica", ma non impongano antipatiche coercizioni a chi vuole ancora "vivere" una montagna non addomesticata.
    L'ultimo numero della rivista del CAI porta in copertina la frase "Vietare la montagna? No, grazie" e ivi si afferma che "La libertà in montagna viene sempre più limitata in nome di un falso concetto di sicurezza". Certamente ci si riferisce principalmente all'alpinismo e allo scialpinismo, ma anche certe forme di escursionismo sono interessate da tali pericolose tendenze.
    Quanto al tratto accidentato in questione conservo vivo il ricordo di un mio girovogare senza scopo tra quei baranci in compagnia di due amici e di un piccolo di camoscio che aveva adottato uno di noi. Era graziosissimo, ma noi dovemmo impegnarci non poco per far perdere le nostre tracce, onde evitare che si impregnasse del nostro odore e venisse respinto dal branco.
    Ciao e grazie ancora a Ernesto per questi splendidi spunti

    Saverio

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  3. Non ho volutamente inserito alcun elemento che consenta di trovare a prima vista quel sentiero, che dovrebb'essere scoperto palmo a palmo, amato metro per metro, lasciato così com'è, sempre. Tempo fa (già prima del 2001, purtroppo!) lo percorsi da solo e mi misi a scardinare qualche ometto che ritenevo superfluo; poi sospesi l'opera, timoroso che qualcuno del Parco potesse binocolarmi: avrei fatto una ben magra figura, da Regoliere ampezzano ...
    Comunque sono certo anch'io che il Troi del Jandarmo possa restare a lungo com'è e senza bisogno di vietarlo: sempre che non intervengano "amanti della montagna" come Beltrame e soci, muniti di falcetti, bombolette e quant'altro!
    Al prossimo spunto!

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