25 lug 2016

Sull'"urlo pietrificato di un dannato", ovvero sul "campanile più bello del mondo"

Grazie ad Enrico, nella mia piccola storia è entrato anche l'"urlo pietrificato di un dannato", ovvero il “campanile più bello del mondo”: quello di Val Montanaia. 
Era il 10 settembre di trentacinque anni fa: eravamo partiti direttamente da Trieste, dove studiavamo, con pane, prosciutto e una bottiglia d'aranciata, e verso sera fermammo la 127 bordeaux al termine della strada, al tempo sterrata e sconnessa, della Val Cimoliana. 
Il portafoglio non ci permetteva di spendere e così ci accontentammo di fare un salto al vicino Rifugio Pordenone, per una birra propiziatoria. Il rifugio era semivuoto: in un angolo, in silenzio, cenavano due signori che si qualificarono come Altamura di Milano e Gilić di Fiume, noti esploratori dei monti dell’Oltrepiave che, tre giorni prima, avevano concluso un'altra via nuova sulla incombente Croda Cimoliana. 
Sul Campanile senza campana 
(foto E.L.)
Dormimmo in macchina, poco e malamente, perché infastiditi per gran parte della notte da decine di rane e rospi che gracidavano in una pozza vicina: così, semidistrutti, alle cinque del mattino eravamo già in cammino sull’erta che sale al Campanile. 
Superammo la via Glanvell-Saar regolarmente; un tiro a testa, senza noie, a parte quella della mia storica giacca a vento "Ghizzo", che alla seconda sosta mi sfuggì di mano e s'impigliò sulle rocce un bel pezzo sopra l'attacco. Al ritorno fu giocoforza risalire quel pezzo in libera, per riprenderla... 
Non dimentico i tre punti topici del Campanile: la traversata (che Berti, nella sua guida delle Dolomiti d'Oltrepiave, dipingeva con toni quasi apocalittici) più impressionante che difficile; la fessura, faticosa perché già lisciata - allora - da 80 anni di passaggi; lo scomodo camino, in cui tirai faticosamente lo zaino dietro di me. 
Sotto un sasso in vetta, trovammo con sorpresa un sacchetto del pane con la firma di Mauro Corona, salito qualche giorno prima, mi pare per l’82^ volta; non c'era invece la campana issata da 19 alpinisti veneti nel 1926, che ogni “audace” giunto lassù deve far risuonare per tradizione. Sapemmo dopo che, proprio quell’estate, era stata portata a Pordenone, per essere riparata! 
La discesa Piaz lungo la parete nord fu una delizia: giunti a valle, saltammo la tappa al rifugio, cosicché nel tardo pomeriggio eravamo già a Cortina, pronti a incuriosire la compagnia con la relazione della salita a una delle cime più ardite, famose e sognate delle Dolomiti.

2 commenti:

  1. Caro Ernesto,
    il ricordo più indelebile che sia mia moglie che io conserviamo del Rifugio Pordenone è proprio l'incredibile numero di rane e rospi dei dintorni (non si tratta solo di una pozza, ma di una vera e propria zona di ritrovo di batraci vari). Ricordo anche che il gestore ad un certo punto della serata si sedette al nostro tavolo, che era vicino a quello di 3 ragazzini che avevano in programma la salita al Campanile, e con dovizia di particolari più o meno raccapriccianti (e ad alta voce in modo che i nostri vicini sentissero bene) inanellò una serie di racconti sugli incidenti accaduti in zona a causa dell'inesperienza di improvvisati alpinisti che non avevano ben valutato le loro capacità. Non so se poi i tre siano effettivamente saliti o abbiano rinunciato; so solo che la serie di racconti ebbero un sicuro effetto su mia moglie, che il giorno successivo si mosse con inusuale (e, onestamente, eccessiva) prudenza.
    Ciao

    Saverio

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  2. Vedo che, anche questa volta, abbiamo condiviso la stessa esperienza, con gli anfibi! A noi i gestori del Pordenone non dissero nulla di allarmante sul Campanile, ma Enrico era ed è Scoiattolo e guida alpina, e difficoltà non ne avemmo praticamente nessuna, allenati com'eravamo.
    Certo, i soccorritori avranno sempre il loro da fare sulla via normale del Campanile, che non è proprio come passeggiare in Corso Italia a Cortina...
    Con la gestrice Narcisa prendemmo quasi confidenza, tanto che nel 1984 ci lasciò le chiavi per andare a dormire d'inverno (21-22 gennaio) al rifugio, raggiunto con quasi 4 ore di marcia nella neve da Cimolais, pensando di salire almeno alla base del Campanile.
    La cosa poi si rivelò, per fortuna, quasi impossibile.
    Al Pordenone sono tornato ancora nel 2006, per riguardare il Campanile da vicino, dal nuovo belvedere di legno costruito dal Parco a metà della valle, e devo dire che la visione è stata sempre emozionante.
    Ciao.

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