7 mar 2012

Croda d'Antruiles, "mons horribilis"

Risalendo la strada che dal "Tornichè" di Podestagno conduce ai pascoli di Ra Stua, sulla destra orografica della Val di Rudo e oltre il silenzioso catino erboso di Antruiles, si nota un torrione rossastro di circa duecento metri d’altezza, che si protende da uno sperone del Col Bechei orientato verso est.
Questo torrione, che fa da divisorio fra i due impervi impluvi delle Ruoibes de Inze o Val de Mez, e Ruoibes de Fora o Val d'Antruiles, si chiama Croda d'Antruiles e tocca i 2405 m.
Croda d'Antruiles, dal Ciadin del Taé
23/8/2004
Appartiene al gruppo della Croda Rossa d’Ampezzo: il nome, legato al sottostante pascolo sfruttato ab antiquo dagli ampezzani, si trova citato per la prima volta sulla "Oesterreichischer Alpenzeitung" dell'annata 1901. Esso risale con buona certezza alla prima salita della montagna, compiuta l’11/9/1900, dopo un bivacco in tenda presso la Casera d’Antruiles, da Viktor Wolf von Glanvell e Karl Guenther von Saar.
I pionieri austriaci scelsero per la salita la dentellata cresta O della montagna, che evoca il dorso di un mastodontico drago, prende avvio dalla Forcella d’Antruiles e si snoda fino in vetta con un dislivello di 72 m ed una lunghezza di almeno 300.
Dopo il 1900 pare che la cima non abbia più ricevuto visite umane. Fino all'estate 1991, quando l'Accademico Marino Dall’Oglio e la guida Fabio Lenti, dopo aver tentato la via originaria (ripetuta per la prima volta 20 anni dopo, nell'autunno 2011, dalla guida alpina Andrea Piccoliori e Corrado Menardi di Cortina: appena avrò notizie dettagliate di questa ripetizione, le dedicherò un articolo apposito) aprirono una via dalle Ruoibes de Fora, con difficoltà elevate.
Finora la Croda è stata salita 3-4 volte, da alpinisti che hanno accettato le difficoltà e i rischi insiti nella friabilità dei versanti e nel costante pericolo di caduta di sassi.
Nel 1990, la cima aveva pericolosamente attratto l’amico Alessandro e me; per fortuna (o purtroppo?) restò soltanto un'idea e mi limitai a scriverne su un periodico locale, definendola “mons horribilis” …

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