27 lug 2018

27.7.1978-27.7.2018: ricordo di Severino Casara, poeta delle Dolomiti

14.8.1976: durante una gita alle Tre Cime con mio padre e mio fratello, un temporale ci obbligò a ripararci al rifugio Lavaredo dove, tra la folla, riconoscemmo Severino Casara. L’alpinista era a Cortina in occasione del 20° della scomparsa di Angelo Dibona, per presentare il suo film "Cavalieri della Montagna", girato trent’anni prima proprio in Lavaredo. La guida ampezzana era uno degli interpreti dell'opera, riproposta qualche anno fa ad Auronzo in una rassegna di film di montagna organizzata dal Cai.
Avevo diciott'anni e iniziavo ad appassionarmi di libri di alpinismo; di Casara avevo letto "Il vero arrampicatore" e "Preuss l'alpinista leggendario", sapevo vita, morte e miracoli di rocciatori, cime e scalate, e con grande emozione entrai in confidenza con l'avvocato vicentino, figura significativa e ingiustamente criticata dell’alpinismo del ‘900. Lo portammo a percorrere la facile ferrata “Giovanni Barbara” allo Sbarco de Fanes; d’inverno ci sentimmo al telefono e l’anno dopo, quando Casara tornò a Cortina col compagno di cordata Cavallini, visitammo con lui il cimiterino di San Vito di Braies nel quale, ai piedi della Torre del Signore, voleva essere sepolto. 
L'anno dopo, Enrico e io salimmo il camino N della Torre Toblin dietro il Rifugio Locatelli, per una via sinceramente bruttina aperta da Casara nel 1923; scattammo alcune fotografie e le spedimmo all'avvocato, che le gradì molto. Prima di iniziare l'Università, con un amico fui suo ospite a Vicenza e passammo insieme una bella giornata, parlando solo di montagne. Uomo semplice, dimesso e cordiale, Casara era già molto malato, ma non lo sapevamo; si spense il 27 luglio 1978, e a quel ventenne entusiasta che ero allora dispiacque molto, come se avessi perduto un amico d'infanzia.
Spigolo NO del Pelmetto da Staulanza: cartolina inviata
da Casara a Majoni il 17.12.77
Per conservare qualcosa della sua vita alpina, oltre alla cartolina del Rifugio Staulanza che m’inviò nel 1977 con gli auguri di Natale, iniziai a raccogliere i suoi libri, partendo da quello che giudico il più suggestivo, "Al sole delle Dolomiti". Trovai a caro prezzo "Arrampicate libere nelle Dolomiti", poi “Il libro d’oro delle Dolomiti”, “Fole e folletti delle Dolomiti” e altri, che oggi conservo in biblioteca.
Una volta, a chi gli chiese un parere su Casara, un alpinista che passa per uno dei più forti del mondo rispose che lui si occupava soltanto di grandi personaggi, non di “mezze figure”.
La “mezza figura” sarebbe stato lui, Severino Casara, nato a Vicenza il 26.4.1903. Di famiglia numerosa, crebbe in una casa serena e religiosa. Iniziò ad arrampicare già da bambino sul castello di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore, col nonno che lo guardava terrorizzato, lo aiutò a scendere e come regalo gli affibbiò ... un ceffone. Il 3.11.1918 Severino sale a Trento in bicicletta per assistere alla liberazione della città dagli austriaci. Nel '19 pedala fino a Cortina, Dobbiaco, Brunico, Bolzano, Trento e torna a casa per la Valsugana. L'impresa non è da poco: aveva solo sedici anni, e le strade e i mezzi non erano quelli di oggi...! Frequenta le tendopoli della Sucai e si avvicina alla montagna, iniziando nel 1920 con la prima salita italiana della Punta Frida in Lavaredo. 
Nel 1921 apre sui monti di casa la prima via nuova; l’anno dopo giunge in Dolomiti, dove ne scopre altre. Nel 1924 gli itinerari nuovi sono 10; nel 1925 12, compresa la contestata salita sul Campanile di Val Montanaia. Seguono 9 vie nel 1926, anno in cui inaugura sul Popena Basso una palestra di roccia per Misurina; il 19 settembre di quell'anno risale sul "campanile più bello del mondo” per l'inaugurazione della campana di vetta. Nel 1927 festeggia la laurea con una via sulla parete SE della Croda Marcora, e apre 9 nuovi tracciati; 10 nel 1928, 14 nel 1929, di cui uno con Comici, 4 nel 1931. Poi l'irruenza giovanile diminuisce, subentrano impegni e difficoltà e sulle Dolomiti torna meno frequentemente. 
Nel 1936, con Walter Visentin, sale lo spigolo NO del Pelmetto, nel 1938 tenta con Comici la parete E del Montanaia, ritirandosi per il maltempo. Apre altre tre vie nel 1940 e nel 1942 scappa in Cadore; è antifascista e in pianura per lui tira una pessima aria. Si rifugia in Val d'Ansiei e su quelle crode apre 5 vie nel 1942, 3 nel 1943, 11 nel 1944 (fra cui una molto dura sul Mescol e una sulla Punta Michele, con l'ultrasessantenne guida e amico Angelo Dibona), 7 nel 1945, con la prima salita della torre dedicata a Comici in Lavaredo.
Tornata la pace, risale sulle Dolomiti: sono 4 le vie nuove del 1947 e 2 quelle del 1949. Si sposta quindi in Oltrepiave, dove ne apre 6 nel 1950, 3 nel 1951, 2 nel 1954 e 2 nel 1961. Ha sessant'anni quando, con due bellunesi, apre l'ultima via dolomitica, una variante diretta alla Preuss sulla Piccolissima di Lavaredo; ma l’ultimissima scoperta è del 1972, un 3° grado sulla Bottiglia delle Grime nelle Piccole Dolomiti.
Autografo sdi Severino Casara
Casara aprì tutte le sue vie in libera e solo due in artificiale, sulla Cima d’Auronzo (1937) e sul Salame del Sassolungo (1940): in entrambe era con Comici, che poco dopo il Salame morì in falesia in Val Gardena. In totale le prime assolute di Casara dovrebbero essere oltre 150, un numero importante per la storia delle Dolomiti. 
Il palmarès del vicentino conta poi salite classiche, invernali e sciistiche, e basta per dimostrare che fu un ottimo alpinista, anche se da capocordata non si spinse oltre il 5° grado. Non era solo un entusiasta e un fantasioso, un romantico malato di roccia; era un idealista puro, un uomo schietto.
Lasciata l’avvocatura, iniziò a scrivere, pubblicando nel 1944 “Arrampicate libere nelle Dolomiti” (II ed., 1950), sulle sue amate montagne. Seguirono “Al sole delle Dolomiti” (1947); “Cantico delle Dolomiti” (1955); “L’arte di arrampicare di Emilio Comici” (1957, II ed. 2010) e “Le meraviglie delle Alpi”; “Fole e folletti nelle Dolomiti” (1966); “Le Dolomiti di Feltre” (1969); “Preuss l’alpinista leggendario” (1970). Postumi usciranno “L'incanto delle Dolomiti” e “Il libro d’oro delle Dolomiti”. A nome suo ci sono altri due libri senza anno d’edizione, “Arrampicare come Comici” e “Rapsodia africana”, e un inedito, “Sulle Dolomiti del Piave”, stampato pochi anni fa per completare la trilogia dedicata alle valli del Boite, dell'Ansiei e del Piave. 
Casara voleva scrivere anche il saggio “Processo ad un alpinista”, per raccontare la sua verità sugli strapiombi N del Montanaia e sulla linciatura morale che derivò da quella salita, secondo taluni inventata per farsi un nome. Il saggio non uscì mai; forse non fu mai scritto, anche perché nel suo archivio non se n’è trovata traccia. La questione degli strapiombi è stata riesumata nel 2008 da Dalla Porta Xydias e poco dopo da Gogna e Zandonella Callegher in “La verità obliqua di Severino Casara”. 
L’opera del vicentino annovera dunque 14 titoli letterari. Oltre che alpinista e scrittore, però, Casara fu anche regista cinematografico. Iniziò nel 1947 con “Cavalieri della Montagna”, girato d’inverno con lui stesso nella parte di Comici, Cavallini in quella di Preuss e Angelo Dibona in quella del custode del rifugio Longeres, e terminò l'esperienza nel 1967 con ”Gioventù sul Brenta”, in cui alcuni giovani salgono in Brenta per far festa ma poi, calamitati dalla montagna, rimangono ad ammirare il trentino Diego Baratieri, da solo sul Campanile Basso. In un ventennio, tra corti e lungometraggi, Casara girò 27 lavori, spesso permeati dalla stridente retorica di metà '900, ma tutti nati da sentimenti genuini, privi di finzioni e pieni d’amore per la montagna. 
Questo fu Severino Casara, la “mezza figura” secondo l'infelice definizione di un “grande”. Il Casara delle vie nuove sulle Dolomiti Orientali; dei libri che gli valsero l'ammissione al GISM, dei film, delle conferenze, delle foto, delle amicizie. L’uomo che per la Montagna subì la gogna, solo perché avrebbe raccontato una prima salita ritenuta impossibile per uno come lui. Non si è mai saputo se salì davvero gli strapiombi del Montanaia, perché non ci sono testimoni, ma processarlo non serve. L’inflessibile opinione pubblica e il “puro” mondo degli alpinisti lo inchiodarono crudelmente, e così per mezzo secolo Casara si portò addosso un macigno e rimase un bravo alpinista, ma un emarginato. Ne valeva la pena?
Quello che poteva diventare il Torrione Casara,
dalla Val Orita (foto E.M., luglio 2008)
Nel 1978 avevo pensato di onorare l’amico scomparso: non con una via, ma addirittura intestandogli un torrione senza nome ai piedi della Croda Rotta sul Sorapis. Ero convinto che fosse (e forse è ancora) inviolato: ha una struttura possente ma non ho mai capito se sia una cima indipendente o non piuttosto solo una piramide  di dolomia in bilico sulle ghiaie della Val Orita. 
Pensavamo di provare a salirlo, e in caso dedicarlo al vicentino che si era consacrato alle Dolomiti, inviando relazioni, schizzi e fotografie alle riviste in cambio di un po’ di gloria. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; forse il torrione era troppo difficile, forse la roccia non meritava di rischiare, forse non eravamo motivati o poco organizzati. Non se ne fece nulla e fu un peccato; ancora oggi, quando lo vedo, quello per me è sempre il Torrione Severino Casara!

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