È possibile che il pioniere dell’esplorazione dolomitica Francesco Lacedelli, il famoso «Chéco da Meleres», a Cortina non abbia neppure un angolo che lo onori?
Ci sono, bisogna dirlo, la targa in cimitero sulla quale il suo nome è inciso al terzo posto, e quella all’inizio di Via Grohmann, che lo ricorda col suo primo e affezionato cliente: e basta.
Ovvero qualcosa c’è, ma non si sa esattamente dove sia e se esista ancora. Sfogliando il volume di Grohmann «Wanderungen in den Dolomiten» (1877), che 105 anni dopo i coniugi Sanmarchi resero accessibile a chi non sa il tedesco, traducendolo in «La scoperta delle Dolomiti. 1862», è emerso un riferimento.
Nella precisa cronaca della conquista del Sorapis, Grohmann propose un oronimo con cui intendeva battezzare «un sottile rilievo, una guglia che Checco salì ad esplorare» durante la prima ascensione del "3000" ampezzano, compiuta il 16 settembre 1864 con Francesco Lacedelli e il guardaboschi Angelo Dimai Deo.
Chéco da Melères, intorno al 1865 |
156 anni dopo l’incredibile tour de force del trio, che per salire il Sorapis, scendere e tornare a Cortina camminò senza sosta per ventidue ore (e Chéco aveva quasi settant'anni), il Piz non è semplice da individuare sul terreno e nei documenti.
Nonostante anche il nome si sia praticamente perso, resta però l’unico omaggio a Lacedelli, che non fu solo un cacciatore e un alpinista, ma anche un abile orologiaio e un combattente per la libertà. Chéco morì a novant'anni il 30 agosto 1886, due settimane dopo l’inaugurazione del secondo rifugio della conca ampezzanaa Forcella Fontananegra, tra due delle vette che proprio lui aveva conquistato: la Tofana di Mezzo e quella di Rozes.
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