Una slanciata appendice della Punta Nera, nel gruppo del Sorapis, chiude verso ovest l'impluvio detritico alla testata della Val Orìta culminando a 2670 m d'altezza. Raggiunta in epoca e da persone ignote, fu denominata "Croda Rotta", un toponimo che parla da solo.
Per farsi un'idea della consistenza, basta osservare la cuspide, che si affianca dirigendosi da Faloria verso la Sella di Punta Nera per l'accidentato e faticoso sentiero Cai 215, che poi scende in ambiente grandioso al lago del Sorapis.
Un giorno, avendo letto la brevissima relazione della guida Berti, che prometteva un accesso alla cima "facile e su terreno erboso", mi venne in mente di andare a vedere, abbinando magari la Croda alla soprastante Punta Nera, grande e poco frequentata montagna.
Un giorno, avendo letto la brevissima relazione della guida Berti, che prometteva un accesso alla cima "facile e su terreno erboso", mi venne in mente di andare a vedere, abbinando magari la Croda alla soprastante Punta Nera, grande e poco frequentata montagna.
La Croda Rotta,. osservata dalla via normale alla Punta Nera (foto M.G., luglio 2008) |
Ero solo e mi limitai alla Punta Nera, ma al momento non mi pentii. Seppi poi da un conoscente, sbucato quasi per caso lassù durante una rocambolesca galoppata solitaria da Cortina a Cortina attraverso Faloria, i Tondi, la Punta Nera e il rifugio Vandelli, che la Croda Rotta non gli si era dimostrata né facile né tanto meno erbosa, ma l'ascensione si risolve in una lunga e ripida placca, con ghiaia scivolosa e passaggi delicati, dove il conoscente disse che il problema non fu tanto salire, quanto tornare indietro.
Ho raccolto poi altre testimonianze di salite sulla Croda, tra cui quella di Sandro (inserita nel volume "Cime attorno a Cortina. 130 vie normali ...", che uscirà quest'estate per i tipi di Idea Montagna a Padova). Leggendola, ho rivissuto la mancata salita alla cima, visibile da Cortina, dall'accesso non molto lungo se si approfitta della Funivia Faloria e fonte di un vasto scenario sulla valle d'Ampezzo e oltre.
Con buona pace dell'inimitabile Berti, mi sono chiesto: perché nel 1928, 1950, 1956, 1971 (anni di pubblicazione delle edizioni della guida delle Dolomiti Orientali) si volle scrivere, e riscrivere che la cima è “facilmente accessibile, preferibilmente dalla forcella tra Croda Rotta e Punta Nera, nei pressi della Sella di Punta Nera, per terreno in gran parte erboso”? Dove mai sarà finita l'erba che decorava la cima, oggi sconsolatamente pietrosa e malferma?
Spero di non andare fuori tema con questa domanda relativa a qualcosa che si svolge 1000 m più in basso rispetto alla Croda Rotta. Ieri parlavo con un amico che frequenta assiduamente San Vito; mi ha accennato di un "Sentiero dei Contrabbandieri" o "Cengia dei Contrabbandieri" che serviva per aggirare Dogana Vecchia, quando ancora funzionava come tale, passando alla base o sulle pareti del Sorapiss. Sostanzialmente si dovrebbe trattare di un percorso parallelo alla Cengia del Banco, ma che si svolge molto più in basso. A detta del mio amico, o su cenge nella parte bassa delle pareti, oppure sui ghiaioni e sulle mughete nella parte in cui questi terminano in alto, al piede delle pareti. Il mio amico ha detto di essere andato più volte a cercare qualche traccia, ma ogni volta si è inesorabilmente perso tra mughi o su ghiaioni tagliati da solchi profondi, cementati e impraticabili. A te risulta qualcosa?
RispondiEliminaIo avevo sentito dire di contrabbandieri che traversavano le zone delle Rocchette, ma non sapevo nulla di altri percorsi sul lato opposto del Boite.
Una piccola divagazione in tema di ghiaioni solcati da canaloni cementati. Lo scorso ottobre, con gli amici Francesco e Paolo, abbiamo deciso di percorrere un sentiero che ritenevamo un classico (menzionato su moltissime guide del passato), ma che per vari motivi non avevamo mai avuto occasione di visitare: il "Sentiero dei Cacciatori" alla base del Bancdalsé. Partiti da Fodara Vedla, un cartello in varie lingue indicava subito che il sentiero è abbandonato e senza manutenzione (tra cui in ladino marebbano, che se ricordo bene suonava come "Scemeda desmetoda"). I traversi sui ghiaioni alla base della parete Nord del Bancdalsé si sono svolti senza grossi problemi (seppure con qualche franamento che lo rende non proprio escursionistico). Ma quasi alla fine del percorso, dopo aver svoltato in vista della valle di Pederu, abbiamo dovuto attraversare un ultimo ghiaione, alla base della parete Ovest del Bancdalsé: qui ci siamo trovati di fronte ad un orrido solco, profondo almeno 15 metri, dalle pareti di ghiaia completamente cementata. Ci sono voluti almeno 15-20 minuti di esplorazione per trovare un unico passaggio accessibile ma non facile da individuare, che alla fine ci ha permesso di attraversarlo. Ma stavamo già pensando di doverci calare, assicurandoci ad un masso, con lo spezzone di corda che ci portiamo sempre dietro sui sentieri non battuti.